Un atroce crimine di guerra. Impossibile trattare con Putin

Nathalie Tocci

Sifica con il susseguirsi dei canali di mediazione europei, israeliani, turchi e cinesi, così come dei negoziati diretti tra ucraini e russi. Al contempo la guerra diventa ogni giorno più violenta. Ieri a Mariupol l’esercito russo ha distrutto un ospedale pediatrico. Un atroce crimine di guerra, il più cruento dall’inizio dell’invasione. Due milioni i rifugiati in due settimane, il doppio dei siriani giunti in Europa in un anno.

E il peggio ci attende. Con ogni ora, ogni giorno, ogni settimana che passa, Vladimir Putin sarà sempre più tentato di spingersi oltre, nell’illusione omicida di «denazificare» l’Ucraina. Kharkiv e Mariupol come Aleppo; Kiev come Grozny. Lo spettro di bombe a grappolo, per non parlare di scenari ancora più terrificanti – attacchi biologici, chimici o nucleari – non sono esclusi. Così come non è esclusa l’espansione della guerra oltre i confini del Paese. Ieri il Segretario generale della Nato Jens Stoltenberg è stato chiaro. Un attacco ai rifornimenti militari difensivi agli ucraini in territorio polacco attiverebbe l’articolo 5 del Trattato dell’Alleanza atlantica: un’aggressione contro uno equivale a un’aggressione contro tutti. Se la Russia attaccasse la Polonia, insomma, entreremmo direttamente in guerra.

Proprio perché l’impensabile è diventato possibile, forse addirittura probabile, la diplomazia internazionale s’infittisce. L’unico sbocco sensato di fronte all’invasione di uno Stato sovrano, il massacro crescente di civili, la distruzione di città e un esodo epocale di profughi sarebbe un «cessate il fuoco» immediato e incondizionato. Ma difficilmente saranno i canali turchi o israeliani a centrare il segno. La mediazione di questi Paesi è dettata dalla loro semi-neutralità, non dalla loro influenza. È una neutralità dovuta agli stretti legami con entrambe Mosca e Kiev e i costi insopportabili di schierarsi nettamente da una parte o dall’altra. Ma una mediazione neutrale può essere efficace solo quando le parti in conflitto si equivalgono, o quasi. Non è questo il caso. La Russia è l’invasore, l’Ucraina l’invaso, la disparità tra le forze è abissale. In questi casi l’unico tipo di mediazione efficace è una mediazione di potere, che mette in campo strumenti – più o meno coercitivi – per indurre le parti a trattare. È qui che emergono i canali europei, che fanno leva sulle sanzioni senza precedenti messe in campo dall’Occidente. È anche su questa scia che alcuni sperano nella mediazione cinese, consapevoli che se esiste un attore che può obbligare Putin a ragionare è proprio il presidente cinese Xi Jinping. Ma la Cina, nonostante abbia avanzato un’ipotesi di mediazione, non appare ad oggi disposta a esercitare alcun tipo di influenza coercitiva sulla Russia.

C’è poi la domanda politica di fondo: mediare sì, ma su che cosa? Il presidente ucraino Zelensky ha giustamente chiamato il bluff russo. Negoziare sulla Crimea? Su Donetsk e Luhansk? Sulla neutralità dell’Ucraina così come dice di volere il Cremlino? Benissimo, parliamone. È giusto essere disposto a negoziare su questo e su altro sia perché ogni via per metter fine al massacro deve essere esplorata, sia – e soprattutto – per smascherare Putin.

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