È un dovere accogliere l’Ucraina in Europa

L’Europa unita ha garantito che la modifica della geografia politica avvenuta dopo la dissoluzione dell’Unione sovietica, fosse pacifica e guidata dal principio di autodeterminazione: tutti i Paesi che sono entrati nell’Ue, hanno approvato le scelte di adesione con referendum popolari. Lo diamo per scontato, ma è stato un fatto straordinariamente nuovo in Europa che, fino al 1945, aveva visto ogni precedente modifica geografica segnata da guerre e conflitti, così come le più recenti degli anni novanta e duemila nei Balcani o nel Caucaso, scaturite appunto in paesi fuori dal perimetro Ue. Non solo: durante la transizione economica dall’economia pianificata verso l’economia di mercato, tra il 1989 e il 2007, l’attrazione verso l’Ue aveva garantito una migliore convergenza economica e sociale, oltre che istituzionale e politica, nei Peco rispetto alle ex Repubbliche sovietiche confluite nella cosiddetta Commonwealth of Indipendent States (CIS). I Paesi entrati nella sfera della Ue allargata hanno avuto una migliore evoluzione non solo in termini di crescita economica ma anche in termini di indicatori di sviluppo umano, quali aspettativa di vita ed educazione, e di variabili sociali, quali disuguaglianza e povertà. Nei Peco il livello di Pil pro capite a prezzi correnti è circa 16mila dollari annui, nei Cis è la metà, intorno a 8 mila dollari, e la Russia è a circa 10 mila dollari. Nei Peco l’aspettativa di vita in media è 77 anni, nei Cis è 73 anni; rispetto alla disuguaglianza, l’1% più ricco in Russia detiene oltre il 20% del reddito nazionale, dato di poco più elevato di quello degli Usa (notoriamente un paese con un alto tasso di disuguaglianza) e molto più alto della media dell’Ue, dove l’1% detiene circa il 10-12% del reddito nazionale. E anche l’indice di sviluppo umano è in media più alto nei Peco che nei Cis, con la Slovenia e la Repubblica Ceca sopra lo 0.90, la Russia a 0.82, l’Ucraina a 0.78, l’Azerbaijan a 0.75, il Turkmenistan a 0.72, e via così.

Di senso inverso rispetto ai Peco è stato lo sviluppo dei Paesi del Cis (Russia, Bielorussia, Moldavia, Kirzikistan, Kazakistan, Tagikistan, Uzbekistan, Arzerbaigian, con Georgia e Ucraina uscite rispettivamente nel 2009 e nel 2014) che nella transizione hanno visto un maggiore calo dell’aspettativa di vita, e un aumento più forte della disuguaglianza e della povertà, oltre che un crollo del reddito più che doppio rispetto ai Peco: -50% contro il -20%. Nei Paesi del Cis sono state implementate politiche di “terapia d’urto” oppure “terapie caotiche” con privatizzazioni selvagge (tranne in Bielorussia) e regole di mercato assenti che hanno favorito persone o gruppi in posizione dominante, divenuti poi oligarchi, realizzando una transizione con “liberalizzazione” e “privatizzazione” sui generis, senza democratizzazione e con esplosione della corruzione. Nella maggior parte dei Paesi che sono entrati nell’Ue invece, le condizionalità poste in essere dall’Ue su concorrenza, diritti civili e politici, stato di diritto, democrazia, anticorruzione hanno realizzato istituzioni in grado di contenere le oligarchie e di favorire istituzioni di mercato. Tali fattori, gradualmente, hanno permesso un livello di democrazia economica ed una coesione sociale maggiori, anche laddove in una prima fase, siano state pure implementate riforme di liberalizzazione e privatizzazione. Tra l’altro, le migliori performance dei Peco rispetto ai Cis risultano pure indipendenti rispetto alle condizioni “di partenza” di ciascun paese. Un esempio su tutti: la Polonia nel 1990, appena dopo la caduta del muro di Berlino, aveva un Pil pro capite uguale all’Ucraina (circa 1600 dollari), e la Russia a circa 3500 dollari. Oggi la storia è completamente invertita: la Polonia ha circa 15.760 dollari, la Russia 10.126 e l’Ucraina circa 3.724.

Dal punto di vista delle libertà civili e diritti politici, e non delle libertà economiche, Freedom House considera i Paesi del Cis prevalentemente “not free” oppure “partly free” mentre i Peco stanno tutti nell’insieme “free”, così come l’indicatore Voice and Accountability della Banca Mondiale, che misura partecipazione e libertà di espressione in qualche modo riconducibile al grado di democrazia, in media nei Peco è nettamente superiore rispetto ai Cis.

Per concludere: dare all’Ucraina – che ha già dimostrato con la rivoluzione arancione del 2004, la successiva protesta di EuroMaidan del 2014 e fino all’eroica resistenza odierna di voler appartenere al mondo delle democrazie e di condividere i valori fondanti dell’Europa – la possibilità di un accesso veloce all’Ue, potrebbe affrancarla dalla tortuosa transizione che ha avuto e le consentirebbe di intraprendere definitivamente un sentiero di crescita e di sviluppo umano più sostenuto, dando un segnale netto e altamente simbolico contro il sistema politico illiberale e le oligarchie economiche di Russia e Paesi Cis. La stessa possibilità dovrebbe essere data ai paesi Balcani non ancora entrati nell’Ue. Nella tragica emergenza che sta vivendo oggi l’Ucraina e, tramite essa, il mondo intero, possiamo intervenire anche attraverso questa decisione per determinare il presente e il futuro dell’Europa. E per dare reale attuazione ai valori in cui crediamo.

*Presidente Inps

LA STAMPA

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