La nuova difesa e i vecchi pacifismi
I fondamentalisti contestano l’idea che l’equilibrio dipenda da rapporti di forza fra gli Stati e rifiutano perfino la difesa
Comunque si concluda la guerra di aggressione in Ucraina, l’Europa si avvia verso il riarmo (anche l’Italia si è impegnata a incrementare le spese militari).
La difesa europea cessa di essere l’idea un po’ velleitaria di un
tempo, sta per diventare un fatto. Quasi certamente ciò alimenterà in
Europa forme di protesta che si diranno ispirate al pacifismo e che
avranno di mira i nuovi «guerrafondai». Come tali verranno bollati i
fautori della costruzione della gamba europea della Nato, della
necessità di creare un forte potere deterrente al fine di «contenere» la
Russia, di frustrarne aggressività e ambizioni imperiali. I segnali si
sono già manifestati: dalla cosiddetta «equidistanza» (né… né) alla
opposizione di alcuni — pochi ma forse non del tutto isolati nella
pubblica opinione — all’invio di armi ai
resistenti ucraini.
Poiché avremo a che fare a lungo con queste cose, sarà bene cercare di chiarirsi le idee. Per cominciare occorre distinguere il desiderio di pace, che è una aspirazione delle persone dotate di senno, dal pacifismo che invece è un’ideologia. Il desiderio di pace è sempre stato presente nella storia umana.Tolti i fanatici e gli esaltati nonché tutti quelli che, a vario titolo, guadagnano (gloria o soldi) dai conflitti armati, gli altri esseri umani hanno sempre avuto orrore della guerra, hanno sperato di vivere in pace.
Ma se la pace è una aspirazione diffusa e perenne, il pacifismo è un’invenzione recente. È uno dei frutti dell’Illuminismo la concezione che il pacifismo ha fatto propria: la pace non più intesa solo come una condizione nella quale le armi tacciono (la cosiddetta «pace negativa») ma come l’espressione di un’organizzazione sociale e politica che dalla pace trae alimento e anche, in una certa misura, legittimità. La diffusione del pacifismo in Europa sarà incentivata dalla contestuale azione di due fattori: la democratizzazione delle società europee che darà voce a tanti che in precedenza erano solo vittime silenziose e inermi delle avventure belliche e l’industrializzazione della guerra che è la causa principale delle grandi carneficine della Prima e della Seconda guerra mondiale.
Possiamo distinguere due forme di pacifismo, ispirate, ciascuna, a un diverso ideale di società: il pacifismo pragmatico e il pacifismo assoluto o fondamentalista.
Il pacifismo pragmatico è proprio delle società aperte o libere. Esse preferiscono la pace alla guerra perché la pace favorisce insieme benessere e libertà individuale. La guerra mette a rischio entrambe e ne mina quindi i fondamenti. Ma poiché nella politica internazionale la forza pesa più del diritto, anche le società libere, per sopravvivere, devono contare sulla forza, i principi liberali devono venire a patti con le regole della politica di potenza. Senza la sconfitta di Hitler prima e senza la capacità degli Stati Uniti, durante la Guerra fredda, di contrastare, con la propria forza politica e militare, l’Unione Sovietica, una potenza totalitaria, la società libera occidentale sarebbe già finita da un pezzo. Checché ne pensino i nostalgici del comunismo, la Nato non è il «braccio militare dell’imperialismo yankee». È un’alleanza difensiva. Non se ne fa parte per aggredire altri Stati ma per difendersi dalle aggressioni altrui.
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