Guerra in Ucraina: stop all’export di grano tenero, mais e concime. Perché la sicurezza alimentare in Italia è a rischio
I nuovi mercati e i nuovi rischi
Il premier Mario Draghi al recente vertice europeo di Versailles, ha dichiarato che bisognerà rivolgersi ad altri mercati: dagli Stati Uniti all’Argentina fino al Canada. Problema n.1): gli alti costi della logistica e tempi lunghi del trasporto navale atlantico per prodotti che ci servono a breve. Problema n.2): il grano trattato con glifosato, un potente erbicida classificato dallo IARC come «probabile cancerogeno», dalla Ue autorizzato con molte prescrizioni fino alla fine del 2022, e in Italia consentito solo in fase di pre-semina, in Canada lo usano anche in pre raccolta del grano come disseccante. Dall’ultimo rapporto Efsa: i prodotti agroalimentari extracomunitari venduti in Europa presentano residui chimici irregolari pari al 5,6% rispetto alla media Ue dell’1,3% e quella italiana di appena lo 0,9%. Per quel che riguarda il mais, gran parte della produzione Usa è Ogm. In Italia il mais ogm non è vietato per la mangimistica, ma molti consorzi ne proibiscono comunque l’uso. Ostacoli che il ministro delle Politiche agricole Stefano Patuanelli vorrebbe rimuovere.
Vuol dire rinunciare a formaggi e carni Dop, perché hanno nel disciplinare l’obbligo di rifornirsi da animali allevati con mangimi non OgmQuanto ai fertilizzanti, una soluzione, almeno parziale, la Coldiretti l’avrebbe trovata negli scarti della produzione di biometano, il «digestato». In pratica si tratta di letame e liquami trattati con batteri anaerobici, e che contengono azoto, fosforo e potassio, quindi ideali per concimare i terreni. Però la direttiva sui nitrati ne prevede un uso limitato perché c’è il rischio atrofizzazione delle acque, e per incrementarne l’utilizzo serve l’autorizzazione del Mite. Un problema secondo Coldiretti risolvibile frazionando la concimazione durante la fase di coltivazione, come si fa con i prodotti chimici.
Il cambio di produzioni
Tutte le organizzazioni agroalimentari hanno chiesto al governo di aumentare la produzione di grano tenero, mais e semi oleosi rimuovendo i limiti alla coltivazione dei terreni italiani – derivanti dalla Pac (Politica agricola comune) – vale a dire circa un milione di ettari destinati a produzioni non essenziali o alla non produzione. Ma l’ultima parola spetta a Bruxelles. Il rischio – in queste settimane cruciali per la programmazione della coltura del pomodoro da industria – è che molti produttori decidano di puntare su mais, girasole o soia. Visti i prezzi, saranno più convenienti dei pomodori, dove il costo di produzione è aumentato di oltre 1.200 euro all’ettaro a causa dell’impennata dei prezzi dei concimi, dell’energia, della logistica e dei materiali da imballo, oltre alla siccità in corso su tutto il centro-nord. Chi ne trae vantaggio è la Cina, ormai diventata il primo fornitore italiano di concentrato di pomodoro: 60 mila tonnellate solo nei primi 6 mesi del 2021. Ma ne risentiranno anche altre grandi colture che sono patrimonio dell’agroalimentare italiano come piselli, fagioli e ceci, perché è più conveniente coltivare mais.
La pasta
Almeno sulla pasta i rischi stanno a zero. Si fa con il grano duro e dall’Ucraina non ne importiamo, dalla Russia solo il 2,5%. La percentuale prodotta in Italia di grano duro è del 60%, e questo fa del nostro Paese un esportatore di pasta, per cui anche in caso di necessità basterà esportarne di meno. Costerà un po’ di più per via dei rincari dell’energia elettrica, e del gas. Secondo Divella è atteso entro marzo un aumento di 12 centesimi al chilo. Considerando che il consumo attuale di pasta pro capite in Italia è di 23 chilogrammi all’anno, ovvero circa 2 kg al mese, tradotti in euro per una famiglia di 4 persone fanno poco più di 1 euro al mese.
Il cambio dei consumi
Ma non si vive di sola pasta. Con l’aumento dei costi di energia e carburanti sta aumentando tutto: il recente blocco dei pescherecci per il caro carburante ha fatto incrementare il prezzo del 30% all’ingrosso e del 50% nelle pescherie. Analizzando le rilevazioni della Borsa Merci di Bologna sulle contrattazioni fisiche dei prodotti agricoli, si scopre che a fronte di un rialzo del grano tenero del 33%, e del mais del 41,1% , il grano duro è rimasto pressoché invariato (2,2%), ma si è mosso poco anche il riso Arborio: è cresciuto solo del 4,7%. L’Italia, tra l’altro, per il riso bianco è un Paese totalmente autosufficiente.
Dai dati dell’Ente Risi ne produciamo ogni anno circa un milione di tonnellate, e ne esportiamo più della metà, fra il 55-60%. Importiamo solo da India e Pakistan alcune qualità particolari come il basmati. Come dire…se alla fine scarseggiano i crackers o grissini, possiamo sempre mangiare gallette di riso.
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