Italia, 60 miliardi per la Difesa

Ilario Lombardo

Nessuno all’interno del governo si illude di portare le spese militari al 2% del Prodotto interno lordo entro il 2024. Ma un piano con un orizzonte leggermente più lungo c’è, e ci stanno lavorando al ministero della Difesa guidato da Lorenzo Guerini. Un piano che prevede di replicare, almeno in parte e per almeno altre due-tre finanziarie, lo stanziamento di 12,5 miliardi di euro che nelle ultime due leggi di Bilancio, in totale 25 miliardi a oggi, sono finiti nel Fondo pluriennale battezzato da Guerini a fine 2020.

Uno strumento di finanziamento con proiezione a 15 anni dove far confluire voci di spesa fino ad allora disseminate in vari ministeri. Sarebbero oltre 60 miliardi circa destinati, in cinque anni, a investimenti lunghi un ventennio su ricerca, industria, tecnologia, mentre «gradualmente», ha spiegato il ministro, si fa crescere il bilancio ordinario annuale. Questo è il piano, delineato dalle principali fonti che lavorano sul dossier e che quasi certamente dovrà passare dallo stress test del dibattito politico sull’incremento delle spese militari, rivitalizzato dallo choc per l’aggressione russa in Ucraina.

La scadenza del 2% di Pil al 2024 è prevista da un accordo Nato sottoscritto in Galles nel 2014. Era l’anno dell’invasione russa del Donbass e dell’annessione della Crimea. Da allora chiunque si è seduto alla Casa Bianca ha chiesto agli alleati di adeguarsi all’obiettivo. Per gli Stati Uniti era essenziale prima e lo è a maggior ragione ora dopo l’invasione unilaterale in Ucraina. La guerra che bussa alle porte dell’Europa svela la geografia frammentata e incoerente della sensibilità su armamenti e investimenti per la sicurezza militare. Ogni Paese della Ue ha i propri interessi strategici, dettati da una percezione più o meno alta del pericolo. A Est i timori sono maggiori, e la ferocia russa prova che non sono così infondati. In Italia, dove le preoccupazioni sono storicamente rivolte verso il Mediterraneo, negli anni si è alleggerito il capitolo di spesa militare fino a portare la percentuale dei contributi in rapporto al Pil nella parte bassa della classifica dei membri Nato.

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