Se Putin rimanda ancora la tregua
Stefano Stefanini
Guardando gli alberi si perde la foresta. Nell’incrociarsi di segnali, «negoziato vicino», «no, negoziato ancora lontano», magari dalla stessa fonte turca, sfugge quello decisivo: il «sono pronto a incontrare Volodymir Zelensky» di Vladimir Putin. Sei parole con le quali i pezzi del negoziato cadrebbero subito al loro posto. Non la soluzione certo ma almeno il tentativo di cercarla. Zelensky vuol farlo – l’ha detto più volte. Putin no. O non ancora. Come minimo vuol prima prendersi un altro pezzo di Ucraina. Intanto, imperterrito, colpisce metodicamente i centri abitati.
L’invasione ha stallato. È pertanto naturale domandarsi quali siano le prospettive di un negoziato, quali le concessioni richieste alle parti, quale il ruolo di altri attori internazionali, la Turchia, la Cina, l’Ue, per facilitare un accordo. Purtroppo, il presidente russo si pone altre domande. Ha invece due ben diverse preoccupazioni: come tener desto un nazionalismo interno pro-guerra; come intimidire e terrorizzare gli ucraini per piegarne la resistenza. Sabato, col discorso di “Grande Dittatore” da operetta allo stadio di Mosca, ha rivelato la prima. La seconda si legge nell’ultimatum a Mariupol di domenica notte. Fa intuire cosa voglia il presidente russo prima di arrivare a un’eventuale trattativa e quali mezzi sia pronto a usare pur di ottenerla.
Prima di parlare di pace, Putin vuole un altro pezzo di Ucraina: almeno la striscia di Mar Nero che congiunge la Crimea col Donbas. Per prenderla tutti i mezzi sono buoni. In mezzo c’è Mariupol. Bombardata dal mare e dal cielo, si ostina a resistere. Va presa a tutti i costi. Circa 300mila civili sono intrappolati. Hanno ascoltato un generale russo intimare loro la resa con agghiacciante freddezza – altrimenti si renderebbero colpevoli di essersi difesi. Avevano tempo fino alle 5.00 del mattino di lunedì, con la prospettiva di deportazione. Non si sono arresi. Quindi non resta che continuare a martellare la città. Come in Cecenia, come in Siria, le operazioni russe non fanno distinzione fra militari e civili.
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