Se Putin rimanda ancora la tregua

L’ultimatum di Mosca a Mariupol è arrivato quando Zelensky aveva appena finito di ripetere alla Cnn «sono pronto a negoziare con Putin». Sa benissimo che non sarebbe una passeggiata, ma un calvario di penosissime concessioni. L’abisso che separa ancora la sua posizione da quella di Putin è però a monte: non c’è spazio per la diplomazia, non c’è mediazione che tenga, finché entrambe le parti non vogliano negoziare. Il Cremlino non lo nasconde neppure. L’ha detto il portavoce, Dmitry Peskov: un incontro diretto fra i due presidenti potrà aver luogo “solo se Kiev avrà fatto i suoi compiti a casa”. Non ha detto quali siano. Ha aggiunto che non ci sono accordi cui la Russia sia disposta a impegnarsi. Di cessate il fuoco non si parla perché permetterebbe ai «gruppi nazionalisti» di rimettersi in forze e attaccare le forze russe.

È dall’inizio della crisi che Putin fa balenare la diplomazia per poi fare la guerra. Così è stato alla vigilia dell’invasione. L’impasse militare lo costringerà forse a ridimensionare le sue mire sull’Ucraina. Per questo è così importante continuare a sostenere la capacità ucraina di tener testa a Putin; giovedì sarà al centro dei vertici Nato, Ue, G7 con Biden. Putin non ha ancora rinunciato al patto leonino. Quanto caro, non lo sappiamo. Presa Mariupol, il presidente russo sarebbe finalmente disponibile a sedersi al tavolo con Zelensky? O vorrà anche Odessa e un’Ucraina senza accesso al mare? Intanto può continuare a colpire abitati e abitanti e a mettere fuori casa un quarto della nazione ucraina – dieci milioni di sfollati.

Quando si vuole la pace si va a parlare col nemico. Così fece Anwar Sadat con Golda Meir, Nixon con Mao, Gorbacev con Reagan. Così farebbe Zelensky con Putin. Ma i telefoni del Cremlino rispondono «irraggiungibile». Da mesi.

LA STAMPA

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