Battaglione Azov, chi è Denis Projipenko, comandante della resistenza di Mariupol, nemico numero uno di Mosca

Il nucleo dei primi volontari del 2014 si struttura con il passare dei mesi. Riceve armi. Entra a far parte della Guardia Nazionale nell’autunno del 2014 ed è a quel punto che si libera di alcuni elementi di estrema destra. Da allora, in teoria, dovrebbe seguire le regole dell’esercito nazionale per cui l’apologia del nazismo è vietata. Il clima dentro il battaglione diventato brigata resta quello della sua iconografia, il simbolo così simile alla runa nazista, le t-shirt nere, le teste rasate, il saluto con il pugno al petto. Tutto molto militarista, machista e super nazionalista e forse oltre.

Tre giorni fa, il Maggiore ha fatto arrivare fuori dalla trappola di Mariupol un suo video selfie, sul genere di quelli registrati dal presidente Zelensky. Ma nel caso di Projipenko, non era solo la maglietta verde a dare l’idea della guerra. Il Maggiore dell’Azov ha elmetto, armi e caricatori. Parla in inglese, dritto in camera. Alle sue spalle un muro di cemento scrostato. Il coro delle esplosioni accompagnano le sue parole. La morte è a poche centinaia di metri. Lui continua a parlare imperterrito. Era al dodicesimo giorno di accerchiamento. Siamo al 21esimo. Azov, marines e Guardia Nazionale ucraina difendono Mariupol. Tremila combattenti, forse meno, che hanno contro almeno 14mila russi. “Stiamo facendo miracoli” dice il comandante in video.

In genere per sconfiggere una guarnigione che difende, la dottrina militare chiede un rapporto tra attaccanti e assaliti di 3 a 1. Qui siamo quasi 5 a 1 e ancora Projipenko e i suoi non si sono arresi. Non potranno farlo perché temono che non ci sarà l’onore delle armi, ma lo sterminio. Ci vorrebbe un garante. Ma di mediatori non ce ne sono. Fuori dell’assedio, fuori da Mariupol, altri esponenti dell’Azov chiedono l’autorizzazione ad impiegare unità militari ucraine per rompere il cerchio russo. Chiedono rinforzi per salvare il Maggiore e i suoi. Senza risposta. Il XXI secolo sta vivendo una tragedia da mondo antico, con tremila uomini che combattono per la patria. Da un giorno all’altro Mariupol cadrà. Fare di loro un mito non conviene a Putin. L’essere ucraino diventerà ancora di più qualcosa di diverso, inconciliabile, alternativo all’essere russo. Ma tutta questa guerra, così come si sta sviluppando, non conveniva al Cremlino. La razionalità svanisce sotto le bombe. L’umanità anche.

CORRIERE.IT

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