Chiudere i tubi prossima mossa

Davide Tabarelli

E’ surreale e allo stesso tempo agghiacciante la richiesta di Putin. Surreale perché è fuori dal tempo, riporta indietro la storia ai tempi dell’Unione Sovietica, quando ci furono altri tentativi di quotare il barile di petrolio in rubli. Come fece anche in passato l’Iran, sotto sanzione da parte degli Stati Uniti, in diverse occasioni. Forse che abbia trovato ispirazione dall’Arabia Saudita che pochi giorni fa ha cominciato a discutere con la Cina la possibilità di abbandonare il dollaro e usare lo yuan per le esportazioni di petrolio, passo che preoccupa Washington. È agghiacciante la richiesta perché è una sorta di escalation commerciale nelle relazioni con l’Occidente, anzi con la vicina Europa, con cui da 60 anni Mosca ha costruito relazioni saldate soprattutto dalle esportazioni di gas e petrolio. Il prossimo passo, se continua così, sarà la chiusura dei tubi, perché noi non accetteremo questa richiesta, semplicemente perché stiamo applicando sanzioni finanziarie durissime.

E allora la risposta di Putin sarà dura, con blocco delle esportazioni, che vorrà dire razionare la domanda, perché di gas in giro non ce n’è proprio nelle quantità che importiamo. Sono 150 miliardi di metri cubi all’anno che importa l’Unione Europea, su un mercato globale, misurato in esportazioni, che possiamo stimare in 800 miliardi. La Germania ne importa 55 e l’Italia 29 e se troveremo 20-30 miliardi di metri cubi, per tutta l’Unione Europea, prima del prossimo inverno, darà un gran successo. Paradossalmente, nel frattempo, il flusso di gas dalla Russia non si è mai interrotto, con i dati di che regolarmente, ora per ora, ci confermano che i flussi da Tarvisio, dove entra il gasdotto che arriva dalla Russia, sono sempre i più alti rispetto agli altri punti di entrata. Sollevare la questione di come pagare non fa che smuovere le acque e avvicinare il momento di una interruzione che molti, anche da noi vorrebbero, probabilmente con una determinazione che poggia su poca conoscenza di quello che ci aspetta. L’Italia è il caso più interessante in Europa, perché è il paese con la più alta dipendenza da importazioni di gas dalla Russia in termini di incidenza sul proprio bilancio energetico. I tentativi di contenere gli effetti sui prezzi, con aumento di debito, non hanno evitato il raddoppio delle bollette, la ripresa dell’inflazione e una frenata della produzione industriale. Il tentativo di trovare in giro per il mondo volumi aggiuntivi di gas, nonostante l’ottimismo sfoggiato dal nostro governo, si scontra con la dura realtà che nei prossimi mesi, se va bene, ci saranno al massimo 5, forse 10 miliardi in più, ma ancora troppo poco rispetto ai 29 che ci potrebbero mancare. Nel frattempo, ieri, la Commissione, in vista del Consiglio di oggi, ha sfornato un altro pacchetto di misure, dove spicca l’obbligo di scorte alte e il tetto ai prezzi del gas, ma sembrano più di alchimie che misure concrete, perché si evita di parlare di più carbone o di più nucleare, mentre rimane un’incognita dove si potrebbe prendere altro gas.

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