L’Europa perdente, la ferocia putiniana mette fine alle illusioni: rimarrà schiacciata fra Cina e America

Domenico Quirico

Questa guerra in Europa ci sconvolge per l’impotenza dell’uomo davanti al destino, per quell’ammazzarsi meccanico e tecnologico con il suo gigantesco arsenale di missili artiglieria carri armati, a cui nessuno sembra poter porre rimedio. Questo potere del destino apparenta questo conflitto alla Prima guerra mondiale. La fragilità del corpo umano di fronte al metallo e alla tecnologia, la morte meccanica e l’alto numero di vittime nelle città che assomigliano sempre più alle trincee delle Fiandre legano l’oggi alle atrocità dell’avvio del Novecento. Questa guerra che è insieme ipermoderna e antica scopre le sue carte e porrà fine, per la seconda volta, alle illusioni progressiste e umanitarie. Nel 1914 andarono in pezzi i sogni ottocenteschi che il destino dell’uomo sarebbe stato obbligatoriamente migliore, oggi uscirà in briciole la propaganda di un mondo aperto e globale, dove merci idee e uomini avrebbero camminato e progredito insieme. Sappiamo per averlo provato nel Novecento su di noi europei che le civiltà possiedono la stessa fragilità di una vita. Colano a picco con i loro uomini e le loro macchine, con gli dèi e le leggi, le accademie e le scienze. L’abisso della irrilevanza storica è abbastanza grande per tutti.

Fino a un mese fa l’Europa era ancora piena di cose, personaggi, progetti, utopie. Adesso è diventata, al di là di una sgonfia retorica consolatoria, qualcosa di astratto, nebbioso, ha solo problemi, paure, dipendenze, sospetti, vive ogni giorno nell’angoscia di diventare un grande campo di battaglia. Il problema diventa di nuovo: quale ragione ha l’Europa di farsi? Con quale contenuto e diritto? Che cosa rappresenta? È un personaggio con qualcosa che la distingue dagli altri che si fanno così brutalmente sentire sulla scena del mondo? O solo un “collage”, fatto di attaccamento e disamore, come si dice in francese, di iscritti all’Alleanza militare atlantica? Prima ancora di unità, che la necessità di sopravvivenza all’istinto di preda putiniano sembra aver frettolosamente abborracciato, un problema di identità.

Come nel 1918 temo che stiamo per assistere, sgomenti, alla seconda morte d’Europa. È quello che ne uscirà, qualunque sia l’esito del conflitto, sia che la furia russa di ridefinire equilibri che non considera più definitivi e che sono eredità imperfetta dalla caduta del Muro abbia successo o sia che venga respinta o contenuta. Il mondo che ne uscirà vedrà consolidarsi gli Stati Uniti da una parte, rimasti al riparo del loro splendido isolamento transoceanico, abili nell’attizzare la guerra affidata alla pena di alleati e famigli che hanno trovato una occasione di mettere un po’ di belletto a una inevitabile decadenza imperiale.

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