Draghi è tornato e il partito filo-russo gli presenterà il conto
Istantanea dell’Italia, in quest’ennesimo collasso della storia: Draghi è tornato, o quantomeno ci prova, questa è la volontà, consapevole che il contesto internazionale lo investe, senza possibilità di scelta, di una missione storica, o di qua o di là. Il tema, però, è se nei prossimi giorni, settimane o mesi riuscirà a essere più forte dei difetti dell’Italia che, ancora una volta, si segnala come “caso speciale” (ventre molle, se preferite) in Europa.
Solo in Italia l’“alternativa”, intesa proprio come visione, collocazione politica, si è squadernata in quel terzo del Parlamento che ha disertato l’ascolto di Zelensky, nel gioco che è ripartito da un lato (Cinque stelle) e dall’altro (Lega) su spese militari e sanzioni, nell’umore complessivo e negli allarmi di una classe imprenditoriale, “no matter what”, che ci importa dell’Ucraina se paghiamo noi. E infatti solo in Italia Zelensky si è ritrovato costretto a “democristianizzarsi” nel suo discorso alle Camere, più emotivo che politico, da cui ha espunto ogni elemento potenzialmente divisivo. Liberté, egalité, fraternité, ha detto al Parlamento francese (gremito), riprendendo il filo dei paragoni storici con i valori, le lotte per la democrazia, gli aneliti libertari dei Parlamenti (e dei paesi) cui si è rivolto, il giorno dopo che da noi ha rinunciato a Bella Ciao, resistenza, valori fondanti della Repubblica, consapevole che, a differenza di altrove, c’è un problema di memoria e valori condivisi.
Draghi è tornato, dicevamo, perché, nulla è casuale in questi casi, neanche questa sorta di discorso della mela, in cui si è assunto su di sé l’onere dello spicchio politica che avrebbe voluto dire Zelensky (armi e ingresso nell’Ue), lasciando a lui lo spicchio umanitario. Ed evocando, il giorno dopo, per la prima volta la similitudine con Hitler, perché a quello ci riporta l’immotivata invasione di uno stato sovrano, rispondendo ai parlamentari della maggioranza che, dopo aver votato l’invio delle armi, si sono posizionati, nella guerra di logoramento interno, nella trincea del non aumento alle spese militari.
È un cambio di postura, quello del premier, rispetto alla timidezza inziale, da alleato riluttante, che, nel suo primo discorso in Aula, appena partita l’invasione, parlò di semplice “allineamento” alle scelte europee, nell’ambito di uno speech più sulla politica energetica che sul senso di una rottura epocale. Diciamo le cose come stanno: sarebbe troppo generoso definire l’Italia un protagonista europeo di questa storia, politico e diplomatico, crocevia della storia, delle diplomazie, dei negoziati possibili, anche le foto odierne raccontano altro ma, nelle condizioni date, interne, già la tenuta dell’“allineamento” con un certo calore, cuore, sana drammatizzazione rivela che il premier si sente investito di un dovere storico che è altresì una linea politica non banale, rispetto agli assenti dell’Aula, ma anche ai presenti. Per informazioni: rivolgersi a Enrico Letta per misurare la pressione neutralista, dalla consigliera espressa dal suo partito nel cda Rai all’opinione pubblica del né né.
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