Ucraina, difendersi è un diritto
Sostenere, anche con le armi, il popolo ucraino, non significa alimentare la guerra, lo ha spiegato anche il cardinale Parolin
«Il diritto a difendere la propria vita, il proprio popolo e il proprio Paese comporta talvolta anche il triste ricorso alle armi». Non sono parole di un guerrafondaio, ma del segretario di Stato vaticano, cardinale Pietro Parolin. Non si potrebbe dire meglio. Sostenere, anche con le armi, il popolo ucraino, non significa alimentare la guerra. Al contrario, è l’unico modo per indurre Putin al compromesso che può fermare la guerra.
A meno che non si voglia costringere l’Ucraina a capitolare, incoraggiando Putin ad aggredire altri popoli. Non a caso Parolin — uomo che ha passato la vita in diplomazia, ha trattato lo storico accordo con la Cina, e ora guida la rete mondiale delle nunziature — si è espresso in quel modo. E il Papa non l’ha contraddetto. Certo, Francesco ha gridato la propria contrarietà all’aumento delle spese militari di Paesi in pace. Ma non è affatto equidistante tra aggrediti e aggressori, tra gli ucraini e l’esercito di Putin.
Ha aggiunto il teologo morale monsignor Mauro Cozzoli, docente alla Pontificia Università Lateranense: «Una volta esaurite tutte le possibilità di un pacifico accomodamento, non si potrà negare ai governi il diritto di una legittima difesa», che «può indurre anche altre nazioni a sostenere e aiutare la resistenza del popolo aggredito».
Compromesso non è sinonimo di soluzione, tanto meno di soluzione giusta. Se, per ipotesi, Putin si fermasse — o fosse costretto a fermarsi dalle armi ucraine, comprese quelle fornite dalla Nato — e si accontentasse del terreno di fatto già conquistato, cioè il Donbass e la striscia costiera che lo congiunge alla Crimea, violerebbe comunque il diritto internazionale. Ma per il satrapo di Mosca sarebbe una via per uscire dalla trappola in cui si è cacciato, commettendo nello stesso tempo un crimine e un errore. Allo stesso modo, pur vedendo il proprio territorio ingiustamente amputato, Zelensky potrebbe rivendicare di aver salvato la dignità, la vita, il posto; oltre a quello che più conta, l’indipendenza del proprio Paese. Un’indipendenza non magnanimamente concessa da Putin, ma conquistata con la resistenza delle proprie forze armate e con l’appoggio dell’Occidente.
In sintesi: sostenere in ogni modo il popolo ucraino, anche con le armi e con le sanzioni finanziarie contro Putin e il suo entourage, è la sola strada per costringere i russi a negoziare sul serio — quindi accettando prima il cessate il fuoco: qualsiasi patto stipulato sotto le bombe è un patto leonino — e a trovare un compromesso che interrompa la strage. Più forti saranno gli ucraini, più il compromesso sarà credibile e duraturo.
Pages: 1 2