Putin e la mediocrità del tiranno

Anche nella cleptomania, nella corruzione che accompagna sempre i regimi autoritari e anche la pratica putiniana, le ricchezze accumulate sono sempre smisurate, planetarie, introvabili, gli zeri hanno lo strascico.

Eppure spesso i dittatori più duri e longevi sono tipacci dall’aria ascetica che nascondono con accuratezza la lussuria e la ricchezza lucrata, inneggiano alla povertà virtuosa, si presentano come modelli per il loro sempre prossimo paradiso in terra. E semmai riservano, con efficace soddisfazione, la tendenza all’eccesso nel pianificare senza rimorsi o inutili istinti di pietà la eliminazione cruenta di avversari e nemici.

Con Putin siamo fuori strada. Non appartiene alla categoria dei tiranni che vogliono riformare con la forza le loro società o ai millenaristi patibolari, anche se gli piace citare vaticini sul destino manifesto della santa Russia scopiazzati da alcuni complici eletti a cattivi maestri. Il suo girone è quello della sublimazione della mediocrità, di cui ha fatto efficace strumento di governo.

Putin senza l’autodistruzione della Unione Sovietica oggi sarebbe un tranquillo pensionato del Kgb, andrebbe a spasso nei giardini pubblici di San Pietroburgo, tirando la fine del mese con la modesta pensione di capo servizio che non era riuscito a far carriera. A maggio con la immancabile medaglia commemorativa andrebbe, sommerso in una tristezza opaca, ad assistere alla sfilata che rievoca la vittoria nella seconda guerra mondiale ricordando con gli amici dell’ufficio di Dresda i bei tempi di quando insieme davano la caccia a spie, sabotatori e agenti del perfido occidente. Un ometto insomma. La cui vita non era stata quella di ideare trame del disordine sovietico nel mondo ma compilare schede e scartafacci che finivano per lo più inghiottiti dalla mastodontica e sonnolenta burocrazia spionistica.

E proprio la consapevolezza di quella mediocrità che ne ha fatto un esemplare perfetto per navigare tra tutte le ipocrisie e le illegalità prima del termidoro eltsiniano e poi della tirannia personale. Nessuno avrebbe sospettato quale pericoloso personaggio si celava in quell’impiegato senza più ufficio, così meticolosamente refrattario alle equazioni di etica e diritto.

La sua figura è perfetta per il fondo opaco di una storia cupa, popolata di principi calpestati e illegalità e di plebi senza speranza umiliate e offese, dove pazienza e sottomissione, accettazione della miseria esigono di esser compensate dal misticismo della “revanche”, del destino imperiale solo momentaneamente interrotto, della forza brutale.

Era attorno a un mediocre che si poteva raggruppare un manipolo di uomini pronti a tutto, sgherri animati da un cinismo scientifico e avido. Putin ha capito che la sua mediocrità era perfetta per diventare un fortunato sopraffattore, doveva solo capitalizzarla offrendo ai russi la promessa di un destino fittizio: ovvero tornare grandi, potenti, un impero, prendersi la rivincita sull’occidente ricco e arrogante. Putin è un mediocre che ha recitato, si è addobbato da maresciallo, da ammiraglio, da astronauta, da statista, da padrone del mondo. Ma era quella mediocrità implacabile, dogmatica e meticolosa che lo ha reso imprevedibile e micidiale.

LA STAMPA

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