Veleno sulle trattative, guerra tra i falchi nei servizi segreti e gli oligarchi del Cremlino

Jacopo Iacoboni

Il veleno non fa bene ai (presunti) negoziati – vere o false che siano le intenzioni dei colloqui. La storia sinistra dell’avvelenamento di Roman Abramovich e di due dei negoziatori ucraini non fa che rendere ancora più impervia la strada dei colloqui che riprendono oggi a Istanbul tra le delegazioni russe e ucraine, mentre la Russia intensifica i bombardamenti sull’Ucraina (non esattamente un segno di trattativa).

Ieri il Wall Street Journal e il team investigativo di Bellingcat – che aveva già in passato identificato la squadra del FSB (i servizi segreti interni russi) responsabile dell’avvelenamento di Alexey Navalny in Siberia – hanno pubblicato la notizia che l’oligarca patron del Chelsea e due negoziatori ucraini che erano con lui sarebbero stati avvelenati il 3 marzo scorso, in Ucraina, nei negoziati vicino al confine con Polonia e Bielorussia. Abramovich e gli altri negoziatori hanno sofferto di chiari sintomi di avvelenamento, occhi rossi, lacrimazione costante e dolorosa, desquamazione e caduta della pelle del volto e delle mani, durati un giorno e una notte. L’oligarca numero uno (lui ha sempre negato di esserlo) – quello che per anni è stato il testimonial russo dal volto liberal, con i jeans, la barbetta curata e la camicia fuori dai pantaloni, il russo capace di incantare Londongrad – perse la vista per alcune ore, confermano adesso diverse fonti tra cui Mikhail Khodorkovsky, l’ex patron di Yukos che invece si fece dieci anni in Siberia e fu espropriato della sua azienda per non essersi piegato a Putin. Un portavoce di Abramovic ha confermato alla Bbc l’avvelenamento. Anche Khokorkovsky fu avvelenato. Tremendo parallelismo della storia, sintomi analoghi toccano ora all’uomo che iniziò la sua ascesa proprio dopo l’esproprio putiniano ai danni di Khodorkovsky, che ricorda: «Quando sono stato avvelenato nel 2018 a Mosca, la prima cosa che ha iniziato a deteriorarsi drammaticamente è stata la mia vista. Due ore dopo essermi sentito male non riuscivo a vedere nulla, tre ore dopo ho perso conoscenza».

Secondo il WSJ, le stesse vittime del presunto veleno avrebbero indicato come responsabili «i falchi di Mosca contrari alla trattativa». La Stampa ha verificato indipendentemente questo punto. “Hardliners”, nel linguaggio degli osservatori anglosassoni del Cremlino, sta di solito per i servizi segreti di Mosca, o almeno una parte dei servizi segreti, quelli più ostili a qualunque ipotesi di pace. Se fosse vero si delineerebbe uno scontro fratricida a Mosca, tra pezzi di siloviki – gli uomini degli apparati, militari e intelligence – e oligarchi, o almeno il gruppo di oligarchi attorno a Abramovich. Il capo negoziatore ucraino, Mikhailo Podolyak, parla invece di «speculazioni», a proposito di questo identikit dei responsabili, aggiungendo che tutti i negoziatori ucraini «sono al lavoro come al solito». Un tentativo di tenere aperta una porta. La vicenda del resto è opaca: ricorda Andrew Roth del Guardian che tre giorni dopo il presunto avvelenamento di Abramovich, un membro della squadra di negoziatori ucraina era stato ucciso a colpi di arma da fuoco. Le cronache dissero che era stato giustiziato come traditore, poi fu annunciato che era un agente dell’intelligence ucciso in servizio.

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