E Conte non aprirà una crisi adesso
Alessandro De Angelis
Peccato che al momento della nascita del governo Draghi, qualcuno non abbia fatto una telefonatina a Putin, giusto per chiedergli se avesse intenzione di invadere l’Ucraina. Così: tanto per regolarci sulle spese militari. Avrebbe stroncato sul nascere la principale obiezione sollevata da Conte nel corso di In Mezz’ora in più: “L’aumento delle armi non era nel patto fondativo di governo, dunque non siamo noi a volere la crisi, è il governo che cambia le carte in tavola” (sic!).
Mettetevi comodi, non ci sarà nessuna crisi, per tante ragioni, compresa quella che nessuno dei nostri eroi freme per assumersi la responsabilità di scelte difficili, ora che lo scenario è radicalmente cambiato. E, tra guerra, aumento dei prezzi delle materie prime, rischio stagflazione tutto si potrà fare tranne una finanziaria elettorale. Meglio lasciare Draghi nella sala macchina dei sacrifici, limitandosi a un po’ di propaganda sul palcoscenico. E infatti con toni assai meno ultimativi rispetto alla sua intervista alla Stampa, l’ex premier, si dedica a questa antica arte per agire un ruolo dopo una lunga eclissi. Senza mai nominare Putin una sola volta, lo slogan a far di camera è perfetto: “Non consentiremo un massiccio (cifra indefinita, si badi bene, ndr) incremento delle spese militari togliendo soldi al Welfare”. Perfetto, come quello di Salvini. Neanche lui consentirà che “le sanzioni vengano pagate dagli italiani”.
La strumentalità è in tre clamorose contraddizioni. La prima: i Cinque stelle hanno già votato la risoluzione di maggioranza che impegna il governo a implementare la cosiddetta bussola strategica, il piano di difesa europeo. Cioè: un aumento della spesa militare. E, nel breve periodo, non c’è un altro voto (se ne riparla nella manovra, non nel Def). La seconda: proprio durante i governi Conte la spesa militare è aumentata ogni anno. In cifre assolute: 21.588.802.622 nel 2019, 23.104.088.370 nel 2020, 24.974.200.147 nel 2021. Non era esplicitamente previsto nel patto di governo né c’erano conflitti in Europa. Sono altresì gli anni in cui non è stato messo in discussione l’impegno ad arrivare al 2 per cento di spese militari, di cui tanto si discute oggi, assunto con gli alleati Nato nel 2014. Mentre ora si avvalora la tesi della corsa agli armamenti. La terza: è stato votato senza proferir verbo nella scorsa legge di bilancio il fondo pluriennale di investimenti per la Difesa di circa 12 miliardi e mezzo di euro.
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