Ecco cosa è una dittatura
L’aggressione russa all’Ucraina ha tolto la maschera a molte ipocrisie, sta obbligando molte teste girate dall’altra parte a guardare dritto davanti a sé. A guardare in faccia chi è Putin, che cosa è il suo sistema di governo e di valori
C’è voluta l’aggressione della Russia all’Ucraina per ricordarci c he cosa vuol dire una dittatura . Per ricordarlo all’opinione pubblica europea e in particolare a quella italiana. Infatti dopo il crollo dei regimi comunisti e dell’Unione Sovietica trent’anni fa abbiamo pensato che più o meno dappertutto — sia nel nostro Continente che nei principali Paesi del mondo — si fossero ormai stabiliti dei regimi grosso modo somiglianti a quelli esistenti dalle nostre parti.
Magari con qualche dose di libertà in meno, con un po’ meno libertà di stampa o di riunione, magari con elezioni non proprio irreprensibili come quelle a cui siamo abituati noi, ma insomma pur sempre dei regimi dove vivere sicuri era possibile, dove lo Stato non era il padrone di fatto della vita dei suoi cittadini come accadeva ai tempi di Stalin o di Mao. A rafforzare una tale idea ha contribuito non poco l’apertura del mondo che era stato comunista di stretta obbedienza marxista-leninista alle imprese capitalistiche, alle loro logiche e ai loro affari: al mercato come si dice. Un’apertura simboleggiata dall’ingresso all’inizio degli anni 2000 della Cina nel Wto, l’Organizzazione mondiale del commercio. La falsa equazione liberismo economico=liberalismo politico ha fatto chiudere gli occhi a molti. E così ci siamo convinti che in pratica fossero ormai rimasti solo il radicalismo islamista, i talebani o per altro verso gli ayatollah, aggiunti a qualche oscura tirannide africana, a rappresentare nel mondo la dittatura, la negazione della libertà. Con il tempo pure la feroce persecuzione dei cristiani praticata in Pakistan o le infornate di decine di esecuzioni capitali alla volta da parte dell’Arabia Saudita non ci sono apparse degne più di tanto della nostra attenzione. E infatti abbiamo considerato del tutto normale che molti nostri illustri e meno illustri statisti si recassero regolarmente a Riad o a Pechino, o dove altro fosse, a illuminare quei governi con il loro alto pensiero: naturalmente dietro un congruo compenso di migliaia di dollari.
Nel corso degli anni molti rapporti politici ed economici con tutta una serie di Paesi sono stati sempre più improntati a un’estrema disinvoltura. A un voluto oblio di che cosa fossero i regimi di quei Paesi. Quanti deputati italiani, ad esempio, in tutto questo tempo si sono recati in Russia felici di essere accolti con tutta l’attenzione del caso ma dimentichi che talora le camere d’albergo hanno occhi e orecchie? indifferenti al fatto che ci sono molti modi per non far disperdere al vento le parole di una conversazione e che non c’è bisogno di una ricevuta debitamente firmata per provare l’esistenza di un contributo alla causa? Allo stesso modo in tanti hanno continuato tranquillamente a fare affari con la Cina fingendo di non sapere che in ogni consiglio d’amministrazione di qualunque azienda cinese siede un funzionario del Partito comunista e che il principale obiettivo del sistema industriale di quel Paese, quando allaccia rapporti con aziende straniere, è impadronirsi del loro know how tecnico; fingendo di non capire quale feroce messaggio fosse contenuto nella richiesta di perdono a cui furono a suo tempo obbligati Dolce&Gabbana per espiare la terribile colpa di aver scelto una pubblicità sgradita a Pechino; fingendo di non vedere la sorte riservata a Hong Kong: mirabile esempio di come il Celeste Impero divenuto rosso intenda il rispetto degli obblighi internazionali da lui stesso sottoscritti.
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