Donbass, perché la Russia lo vuole e l’Ucraina non lo molla
I rapporti tra Zelensky e gli oligarchi
A lungo gli oligarchi hanno considerato lo Stato solo uno strumento attraverso il quale mungere risorse e potere. Negli anni post-sovietici, anche grazie alla compiacenza di governi corrotti, hanno costruito imperi finanziari e industriali accaparrandosi le enormi risorse naturali del Paese. Il presidente Zelensky ha vinto le elezioni nel 2019 puntando proprio su lotta alla corruzione e «guerra agli oligarchi». Sin dall’inizio del mandato i rapporti sono stati sempre difficili, ma la situazione è degenerata con la stesura della «legge anti-oligarchi»: vietato finanziare i partiti, niente appalti pubblici o nuove privatizzazioni, massima trasparenza. Il 21 settembre 2021, giorno prima dell’approvazione della norma, Serhiy Sherif, il primo consigliere di Zelensky e tramite tra il presidente e gli oligarchi, è uscito miracolosamente illeso da dieci colpi di kalashnikov contro la sua auto. A novembre 2021 il presidente ha denunciato un presunto colpo di Stato. A detta di Zelensky tra i congiurati ucraini e russi ci sarebbe stato anche l’oligarca più ricco del Paese, Rinat Akhmetov.
L’oligarca nemico si schiera con Zelensky
Il giorno prima dell’invasione, iI 23 febbraio, Zelensky organizza un incontro con gli oligarchi locali, e tutti abbracciano la causa ucraina. Il primo a dare la sua disponibilità è proprio Rinat Akhmetov, originario di Donetsk, proprietario della squadra di calcio Shakhtar Donetsk, patron del conglomerato minerario e siderurgico Metinvest che ha il quartier generale a Mariupol. Nel 2014 vanta un patrimonio di 18 miliardi di dollari, ma con la proclamazione della Repubblica di Donetsk perde tutte le proprietà nell’area. Dall’inizio dell’invasione russa i suoi asset crollano e il suo patrimonio oggi si ferma a 4,2 miliardi. All’indomani dell’invasione Akhmetov finanzia con dieci milioni di dollari l’esercito ucraino, organizza aiuti umanitari per le popolazioni in fuga, e attraverso la sua fondazione annuncia che la sua holding SCM pagherà in anticipo 1 miliardo di grivne ucraine (34 milioni di dollari) per sostenere le casse statali. Nei giorni prima dell’assedio di Mariupol visita l’Iljich e l’Azovstal, i due grandi stabilimenti siderurgici della città portuale, e garantisce a tutti i dipendenti un aumento di stipendio. Il 20 marzo l’intero conglomerato è stato gravemente danneggiato dai bombardamenti.
Gli altri miliardari che finanziano la resistenza
Ha deciso di finanziare la resistenza anche Victor Pinchuk, fondatore di Interpipe, un’importante società di prodotti in acciaio con la sede principale a Dnipro. Pure lui dal 2014 ha perso buona parte degli affari in Crimea, e in un mese il suo patrimonio è sceso da 2,6 a 1,9 miliardi di dollari. Pinchuk ha messo le sue aziende a disposizione dell’esercito ucraino a cui ha fatto arrivare stufe per riscaldarsi, ricci anticarro e denaro. Il più filorusso degli oligarchi, Vadym Novynskyi, proprietario di Smart Holding Group e patrimonio da 1,3 miliardi di dollari, ha invece rinnegato Putin. Eletto nel 2019 parlamentare nella regione di Donetsk, dopo l’invasione ha scelto la causa ucraina acquistando per l’esercito giubbotti antiproiettile e kit di pronto soccorso. La sua fondazione ha inoltre stanziato risorse per le vittime delle operazioni militari. Al richiamo della patria ha risposto anche l’ex presidente e oligarca Petro Poroshenko, proprietraio di Roshen, uno dei gruppi dolciari più famosi d’Ucraina. Poroshenko che ha perso lo status di miliardario a causa della guerra (il suo patrimonio è sceso da 1,6 miliardi a 700 milioni di dollari) finanzia le unità di difesa con mitragliatrici, walkie-talkie, attrezzature e divise invernali. Infine c’è Ihor Kolomoisky, originario di Dnipro e con un patrimonio che supera il miliardo di dollari. Grande amico di Zelensky, ha finanziato sia la sua attività di comico sia la candidatura alla presidenza della Repubblica. Kolomoisky, i cui interessi sono concentrati nell’industria energetica, ha il quartier generale a Dnipro ed è anche l’idolo delle frange più estremiste. Dal 2014 ha finanziato con almeno 10 milioni di dollari i gruppi paramilitari nazionalisti Aidar, Azov, Dnipro.
Il nuovo corso degli oligarchi
A differenza di quanto avvenuto con la rivoluzione arancione (2004) e con le proteste di Maidan (2013-14) i magnati stavolta non hanno fatto il doppio gioco, mettendosi in posizione di attesa per vedere chi fosse il vincitore. Gli oligarchi stavolta si sono schierati. Accantonati i contrasti con Zelensky, hanno tutti serrato i ranghi a sostegno del governo di Kiev. Sicuramente mossi dal timore di perdere le proprie ricchezze in Donbass e nei territori vicini, maforse anche per un briciolo di amor di Patria.dataroom@rcs.it
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