Quell’assurda voglia di crisi

Andrea Malaguti

Giuseppe Conte giura che la crisi non ci sarà. Ma il presidente del Consiglio Mario Draghi evidentemente non gli crede, se alla fine di un incontro in cui il leader del M5S ribadisce il suo sopravvenuto pacifismo ad ogni costo, sale al Quirinale per comunicare a Mattarella la radicale differenza di posizione con il partito di maggioranza relativa. La mossa, plateale, non è irrilevante. Sta in piedi un governo che in tempi di guerra non riesce a garantire all’Europa, e soprattutto alla Nato, il rispetto degli accordi sulle spese militari firmato nel 2014?

Dopo aver fatto a lungo finta di nulla, considerando scomoda, ma soprattutto inutile, qualunque forma di risentimento personale e persino politico, Mario Draghi decide di sottoporre allo stress-test definitivo il suo esecutivo, stanco delle piccole umiliazioni e dei giochetti psicologici quotidiani di partiti seduti dalla sua stessa parte del tavolo ma entrati ufficialmente in campagna elettorale e dunque incapaci (o, peggio, disinteressati) di garantire agli alleati internazionali la solidità necessaria di fronte a una crisi di questa portata. Il caro bollette, la carenza di materie prime e l’inflazione, problemi giganteschi a cui si appella Giuseppe Conte per giustificare il rifiuto di portare automaticamente gli investimenti in armi al 2% del Pil, riguardano tutti i 27 Paesi della Ue e la sola speranza di immaginare il ricorso a un nuovo “recovery bellico” passa da una visione condivisa sulla strategia da adottare nei prossimi mesi. Il faccia a faccia tra Draghi e Conte è un flop. Ciascuno dei due annuisce convinto concordando solo con se stesso. E il problema nasce esattamente qui. L’incomunicabilità è totale. Draghi non può permettersi (e non vuole) un passo indietro. Conte vorrebbe farne uno, definitivo, in avanti, sperando, con un gioco di prestigio, di consegnare all’interlocutore la responsabilità della rottura. Così mentre Palazzo Chigi ricorda che con l’Avvocato del Popolo al governo le spese militari aumentarono del 17%, Conte si camuffa dietro a due affermazioni apparentemente contraddittorie. La prima: rispettiamo i patti assunti con la Nato. La seconda: non possiamo aumentare gli investimenti in armi spendendo altri 15 miliardi.

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