Le foto dei corpi di Bucha sono punto di non ritorno. Ma la Russia tenta di offuscare la verità e parla di fake news

di Marco Imarisio

Il ministero della Difesa di Mosca sul massacro di Bucha: «I cadaveri ad almeno quattro giorni dalla morte non sono rigidi e non hanno macchie» Lo speaker tv filo-Putin: «È una montatura, muovono le mani»

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In un mondo normale, i racconti e le immagini che provengono da Bucha dovrebbero rappresentare uno spartiacque definitivo. Quell’orrore così ripetuto da sembrare invece un metodo, una tecnica di guerriglia in un conflitto che non avrebbe mai dovuto cominciare, dovrebbe essere il punto di non ritorno. Per i molti ancora alle prese con troppi distinguo, per i politici renitenti a pronunciare il nome di chi ha voluto ad ogni costo l’invasione dell’Ucraina. Per chi è convinto che anche quei corpi abbandonati sul ciglio di una strada alla periferia di Kiev vadano messi in conto al malconcio Occidente. Ma è da tanto tempo che invece abbiamo accettato l’idea di non vivere più in un mondo normale, dove contano solo i fatti e in base a quelli si deve ragionare. Ci stiamo ormai abituando a una realtà dove tutto può essere capovolto, letto e riletto al contrario, per vanità televisiva o accademica, per odio strisciante verso gli Stati Uniti, l’Europa o tutti e due. Non è un caso che la Russia, in evidente imbarazzo per la crudezza di quelle testimonianze, fotografiche o raccolte sul campo dai colleghi delle testate internazionali, abbia reagito più in fretta del solito, mettendo subito in campo il suo armamentario di propaganda. Ad uso e consumo interno, ma non solo. Come al solito, si tratta di uno schema a spirale. Il ministero della Difesa, nelle ultime settimane così silente da destare sospetti sulla sorte dei suoi maggiorenti, emette un comunicato lungo e articolato, nel quale all’inizio sostiene che durante il periodo in cui il sobborgo di Bucha è stato sotto il controllo dell’esercito russo, non un singolo residente ha dovuto soffrire a causa di azioni violente.

Quello che segue è un esercizio autoptico che rende la misura della difficoltà in cui si trova il Cremlino a causa di quelle immagini. «Tutti i corpi delle persone i cui fotogrammi sono stati pubblicati dal regime di Kiev, ad almeno quattro giorni dalla morte non sono diventati rigidi, non hanno le caratteristiche macchie del cadavere, e appare evidente come il sangue non sia ben coagulato nelle ferite».

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