Trattare col nemico per battere i demoni

DOMENICO QUIRICO

La distanza che separa nella guerra in Ucraina gli americani e gli europei si è allungata, come era prevedibile, di un’altra pericolosa tacca. A Washington con l’invio al governo di Kiev di armi più sofisticate e micidiali, armi d’attacco, per l’ennesima volta viene sabotato esplicitamente il fragilissimo negoziato (prospettiva che gli americani considerano una sconfitta) e si comincia a sognare addirittura un ribaltamento dell’esito della guerra: non più russi indeboliti, impaludati, ma russi in fuga, e ucraini che riconquistano non solo le zone invase un mese fa ma anche il Donbass e perché no? la Crimea. Putin dunque umiliato, e, poiché i regimi non sopravvivono mai alle sconfitte, liquidato dalla Storia e dagli incubi del ventunesimo secolo. Dopo Saddam, Milosevic, Gheddafi, Ben Laden, i Califfi un’altra carta del corposo mazzo dei diavoli moderni scartata dal gioco.

Gli europei sono più consapevoli, per la prossimità alle malefiche conseguenze, della infernale potenza distruttiva che Putin può scatenare per vendetta o per riprendere il controllo delle operazioni. Gli americani pensano alla vittoria, gli europei (non tutti) pensano alla pace che seguirà. Ora dovranno rapidamente prendere una decisione complicata: allinearsi ancora alla strategia di Washington o seguire una diversa strada. Insomma: occorre mettersi al centro dell’arena entrando, come dicono i toreri , “nella culla delle corna”. Bisognerà bene che un giorno con Putin, o i suoi eredi, si discuta, non foss’altro per i nostri affari. Si dovranno riprendere relazioni sopportabili e umane con questa parte di Europa. Una bella ferita aperta, netta, guarisce. Ma non la invelenite!

La strategia telefonica di Macron, Scholz e ora anche di Draghi è l’abbozzo di questa svolta, qualcosa di più di una tentazione. È giusto trattare con il Diavolo? E se questo è necessario come farlo senza compromettersi e arrendersi al Male assoluto? È un dilemma aperto dal 29 settembre 1938, Monaco, faccia a faccia sciagurato tra democrazie pavide e aggressivi totalitarismi.

Ci può aiutare come bussola il celebre “Lungo telegramma” di George Kennan, vademecum della diplomazia dell’efficace “contenimento” della Unione sovietica staliniana. Seguiamo il suo schema. Se Putin è come Hitler allora bisogna evitare ogni trattativa e fare la guerra, non ci sono alternative; se è ome l’Unione sovietica bisogna applicare l’arte della pazienza e del logoramento, prima o poi crollerà sotto il peso delle sue contraddizioni interne; se è come la Cina bisogna attirarla, farla partecipare al nostro mondo perché cambi. Con Pechino gli americani l’hanno applicata a partire del 1970 ma ora vogliono cambiarla. Nessuna formula infatti può essere eterna.

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