Da Dresda a Srebrenica, i massacri che la Storia non potrà cancellare

Sarà così anche per Bucha? Per Guernica ci volle la caduta del franchismo per l’esame di coscienza, per Dresda il silenzio fu altrettanto lungo, diverso il destino di Hiroshima e Nagasaki che, obiettivo delle testate nucleari americane, al comando del generale Carl Spaatz, 6 e 9 agosto del 1945, vittime stimate tra 150.000 e 220.000, divennero icona del tabu contro la guerra atomica, che garantì alla Guerra Fredda, nella definizione dello storico J.L. Gaddis, di essere “Lunga Pace”.

La lista delle città martiri è lunga, e addolora doverla aggiornare. Leningrado, oggi San Pietroburgo, venne assediata dai nazisti per 1000 giorni, 1941-1944, Harrison Salisbury del New York Times documentò come i superstiti si ridussero al cannibalismo, prima dei cadaveri, poi dei viventi, in macellerie nascoste in cantina. Tra morti e feriti i tedeschi soffrirono 600.000 perdite, i russi tre milioni e mezzo, i civili un milione.

Nelle prime righe di “Stalingrado”, il magnifico romanzo dello scrittore Vasily Grossman, 1957, tradotto in questi giorni da Adelphi, una delle eroine detta la linea di condotta per tutti noi, davanti all’invasione di Putin: “Sbagli Marusya – disse Sofya Osipovna – Sono un chirurgo e posso dirti che c’è una sola verità, non due. Quando taglio la gamba a un soldato, non conosco due verità. Se cominciamo a far finta che esistano due verità, siamo nei guai. Soprattutto in guerra, quando le cose vanno male come adesso, c’è una sola verità. Una verità amara, ma che può salvarci. Se i tedeschi occuperanno Stalingrado, imparerai che chi insegue due verità non ne acchiappa nessuna e sarà la tua fine”.

Come negli stupri etnici perpetrati dai russi a Berlino 1945, quando un editore ebreo, sopravvissuto all’Olocausto, fu talmente disgustato dalle violenze da chiedere a un ufficiale dell’Armata Rossa di intervenire in difesa delle nemiche, nell’Atlanta confederata bruciata dal generale unionista Sherman nel 1865, nella città inglese di Coventry, rasa al suolo dai nazisti, nella notte del 14 novembre 1940 con 1236 caduti, nella balcanica Srebrenica, con gli oltre ottomila massacrati il 25 luglio 1995, invece la “verità”, predicata dalla saggia Sofya Osipovna, non appena le macerie fumanti si spengono e i cadaveri si dimenticano nelle fosse comuni, cade preda di propaganda e ipocrisie. La preghiera è che la speranza di Grossman, ebreo, ucraino e russo, soffi infine, nel nostro secolo.

REP.IT

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