Guerra Russia-Ucraina: i killer esibiscono la morte, noi non ci possiamo voltare
Questo tipo di morte e la volontà degli assassini di farcela vedere, di mostrarcela, questa morte, costringendoci alla difficile sepoltura di tanta parte di noi stessi, le illusioni di progresso, lasciando dietro di se le prove con sfrontatezza, come se fossero foglie secche, rovescia il senso del mito greco della Medusa, la più straordinaria metafora della violenza e dei suoi effetti. Diversamente dalla figure degli dei che hanno volto umano la Medusa è il ritratto della confusione tra uomini e bestie, appartiene al terrore e all’orrore, alla confusione della notte. La Medusa è la violenza e la ferocia che essa sprigiona. Se la guardi negli occhi si cessa di essere sé stessi, di essere vivi, umani, per diventare come lei sudditi della morte, repliche dell’orrore. Guardare Medusa significa perdere la propria umanità, essere posseduti del demone. Complici e mostri. Allora l’unica modo di annullarla, di vincerla, raccomanda il mito, è di ucciderla non guardandola, volgendo gli occhi dall’altra parte, annullandone il potere omicida nella mediazione dello specchio.
Ma dopo aver visto Bucha e le immagini di mille altri luoghi come Bucha che coprono di vergogna anche le guerre del nostro tempo civile, non è più possibile. Dobbiamo semmai per restare umani avere il coraggio di guardare in faccia Medusa, rovesciare la simmetria.
Le immagini non devono diventare lo specchio che medi e annulla. Non nel riflesso anestetizzato o nel volgere lo sguardo è la salvezza dalla seduzione della violenza. Ma proprio dalla sua osservazione metodica, dal preservarne con minuzia la memoria. Gli assassini, che sono soldati, ufficiali, generali, il Potere che li ha inviati passeranno il tempo a negare, hanno già cominciato, i loro zeloti periferici hanno subito ipotizzato le bugie. Tanto più il lagno è alto tanto più rivelano lo sforzo di scaricarsi, di ravvisarsi come vittime, mai a corresponsabili.
Noi dobbiamo invece guardare, documentare, raccogliere le prove, fare la lista dei nomi degli assassini e dei loro mandanti. La colpa, il giudizio e la punizione: il diritto, che è l’unico modo per sconfiggere la violenza come epilessia ripugnante di disordine ed eccesso.
Gli assassini di Bucha sembrano aver fatto una scelta che pare vada al di là del tumulto della battaglia, del dover avanzare o ritirarsi senza aver tempo per occuparsi di cadaveri per di più di nemici: c’è il sospetto che abbiano lasciato i cadaveri in vista, espliciti, nelle strade o che si potevano facilmente scoprire nelle fosse comuni. C’è un messaggio, forse, che ha a che fare con la morte. Dicono: il nostro delitto non è mascherato dalla vergogna, potevamo nasconderli meglio o farli sparire. Invece rifiutiamo perfino la pietà del seppellire, del restituire il cadavere alla terra. Il cadavere va chiamato, va invocato, va pianto, va sepolto? Ebbene noi li lasciamo in strada: guardateli! Noi siamo questo. Il sapere della morte che noi vogliamo svelarvi è il sapere pubblico.
Noi vogliamo infliggere, per aumentare il vostro orrore e timore, la morte senza qualità, vogliamo ridurre la morte a un puro avvenimento quantitativo, senza dignità. Eccoli i vostri morti, contateli, guardateli immersi nella nostra mota come una vegetante dissoluzione. Non c’è altro che possiate fare. Gli assassini di Bucha vogliono ricordarci che si sono arrogati la licenza di uccidere altri esseri umani e in quel modo crudele, perché nella loro guerra gli altri uomini, i nemici, sono considerati esseri inferiori e la loro eliminazione non comporta rimorso.
LA STAMPA
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