Cucchi, da Cassazione 12 anni ai due Carabinieri accusati del pestaggio: “Omicidio preterintenzionale”

di  Federica Olivo

Tredici anni, quindici gradi di giudizio, oltre 150 udienze. E la tenacia di una famiglia che, con una dignità esemplare, non si è mai arresa. Tanto ci è voluto per arrivare a scrivere la parola fine sulla morte di Stefano Cucchi. La corte di Cassazione ha confermato le condanne per omicidio preterintenzionale nei confronti di Alessio Di Bernardo e Raffaele D’Alessandro, i Carabinieri che, nella notte, tra il 15 e il 16 ottobre 2016 pestarono il giovane romano,che era stato arrestato con l’accusa di detenzione di stupefacenti. Stefano sarebbe morto pochi giorni dopo, il 22 ottobre, all’ospedale Pertini. I due Carabinieri sono stati condannati a 12 anni di carcere. E non 13, come deciso in Appello e chiesto dal pg della Cassazione.

Per Francesco Tedesco, il militare che  in aula aveva raccontato le fasi del pestaggio di Cucchi e indicato come autori materiali D’Alessandro e Di Bernardo, è stato previsto un Appello bis. Tedesco era stato condannato per falso e la sua condanna era stata confermata in appello. Nuovo Appello anche per il maresciallo Roberto Mandolini, anche lui condannato per falso. Su quest’accusa incombe il rischio di prescrizione, che scatterebbe a maggio.

La sentenza è arrivata a sera, dopo una lunga giornata d’attesa per i familiari e gli imputati. Ma la famiglia attendeva da 13 anni  ed ora sa che la giustizia ha sancito quello che da sempre Ilaria, la sorella di Stefano, e i genitori, Rita e Giovanni, avevano sempre sostenuto: il ragazzo è morto non per l’epilessia, come pure abbiamo dovuto leggere in una delle tante carte processuali, non perché aveva rifiutato le cure. Ma perché è stato picchiato. “Tutto qui è drammaticamente grave e concettualmente semplice. Eliminiamo le spinte, i pugni e i calci e domandiamoci se ci sarebbe stata la frattura della vertebra e la lesione dei nervi. La risposta è semplice: no”, ha detto, sintetizzando in pochi istanti quello che la famiglia con i suoi legali ha ripetuto per anni, Tomaso Epidendio, il procuratore generale della Cassazione che ha chiesto la conferma della condanna per D’Alessandro e Di Bernardo e un nuovo processo “limitatamente al trattamento sanzionatorio” per il carabiniere Francesco Tedesco. “Fu una via crucis notturna quella di Cucchi, portato da una stazione all’altra”, ha aggiunto il procuratore generale.

“A questo punto possiamo mettere la parola fine su questa prima parte del processo sull’omicidio di Stefano”, ha detto la sorella Ilaria. “Possiamo dire – ha aggiunto – che è stato ucciso di botte, che giustizia è stata fatta nei confronti di coloro che ce l’hanno portato via. Devo ringraziare tante persone, il mio pensiero in questo momento va ai miei genitori che di tutto questo si sono ammalati e non possono essere con noi, va ai miei avvocati Fabio Anselmo e Stefano Maccioni e un grande grazie al dottor Giovanni Musarò che ci ha portato fin qui”. E al fratello, per il quale ha combattuto per 13 anni manda un messaggio: “Te l’avevo promesso”.

La vicenda processuale, come anticipato, è stata lunghissima. E alla sbarra per tanti anni ci sono state persone che poi si sono rivelate innocenti. Nel gennaio 2011, quando Stefano era morto da poco più di un anno, la gup Rosalba Liso aveva rinviato a giudizio dodici persone: tre agenti penitenziari per lesioni personali, cinque medici dell’ospedale Sandro Pertini e tre infermieri per abbandono di persona incapace. A giudizio anche un medico, per abuso d’ufficio e falso.

Il gup aveva inflitto in rito abbreviato 2 anni di reclusione a Claudio Marchiandi, il funzionario dell’ufficio dei detenuti e del trattamento del Provveditorato regionale dell’amministrazione penitenziaria (Prap) che rispondeva di abuso d’ufficio, falso e favoreggiamento. Quest’ultimo fu assolto già in primo grado “perché il fatto non sussiste”. In seguito furono assolti anche gli agenti penitenziari e gli infermieri. I medici, invece, furono condannati a pene tra gli 8 e i 12 anni di carcere, per poi essere assolti in appello. Per i sanitari fu fatto un processo bis che è finito con un’assoluzione e quattro posizioni prescritte. Ma proprio nel giorno in cui veniva posta la parola fine a quello che uno degli imputati definì, voce non isolata, processo farsa, nell’aula bunker di Rebibbia veniva scritto un capitolo fondamentale di questa storia.

Era il 14 novembre 2019. Era il giorno della sentenza nei confronti dei Carabinieri. Si era arrivati fin lì grazie a un’inchiesta del pm Giovanni Musarò, che aveva ripreso le carte in mano e ricostruito pezzo dopo pezzo tutta la storia. Grazie a un lavoro meticoloso, ma anche alla testimonianza di Riccardo Casamassima, appuntato dei Carabinieri che riferì al pm le confidenze che gli aveva fatto un altro imputato, il maresciallo Roberto Mandolini: “È successo un casino con un ragazzo che si chiama Cucchi, lo hanno massacrato”, aveva detto all’appuntato, secondo il suo racconto. Mandolini è poi stato condannato in primo grado a tre anni e otto mesi per falso. In primo grado D’Alessandro e Di Bernardo erano stati condannati a una pena di 12 anni, per omicidio preterintenzionale. Un anno in meno rispetto all’appello. Durante quel processo Francesco Tedesco, imputato anche lui per omicidio oltre le intenzioni, decise di rompere il muro dell’omertà. Parlò, accusò i due colleghi. Nel corso di un’udienza successiva strinse la mano a Ilaria Cucchi e le telecamere, lontane dai protagonisti, ripresero il suo labiale: “Mi dispiace”. Una frase pronunciata a dieci anni dalla morte di Stefano, ma comunque di grande valore. Perché da quel momento le cose hanno preso la piega processuale che la famiglia aveva sempre sperato. Fino ad arrivare alla sentenza di oggi. 

In parallelo, intanto, si è svolto un altro giudizio, dedicato ai depistaggi che hanno allontanato la verità. Il primo grado si concluderà il 7 aprile. Il pm ha chiesto la condanna di otto Carabinieri. Quel processo, indipendentemente dall’esito, potrà proseguire. Questo no, se non per rideterminare la pena di Tedesco. La verità processuale è scritta nella conferma della condanna per D’Alessandro e Di Bernardo, in una sentenza che diventerà definitiva.

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