Cucchi, da Cassazione 12 anni ai due Carabinieri accusati del pestaggio: “Omicidio preterintenzionale”
Questa lunga storia, in cui la famiglia, prima sola nella battaglia, ha ricevuto il sostegno di cittadini, associazioni e istituzioni, è costellata di momenti importanti. Di squarci che hanno consentito di illuminare il buio in cui la morte di Stefano rischiava di rimanere. Tra questi ci sono la testimonianza di Casamassima, l’accuratezza del lavoro del Musarò, la decisione di rompere il silenzio presa da Tedesco. Ma, prima di tutto ciò, c’è stato un atto di forte coraggio della famiglia. Stefano era morto da pochi giorni, quando la sorella Ilaria e i genitori decisero di rendere pubbliche le foto fatte al cadavere del ragazzo durante l’autopsia. Intorno agli occhi, sulla schiena, c’erano evidenti segni di percosse. Quegli scatti hanno scosso l’opinione pubblica e tante volte sono stati mostrati, per ricordare che bisognava ricostruire cosa era successo in quella notte a Stefano. E così, per dovere di cronaca e perché la storia andava necessariamente raccontata, le foto testimoniano il pestaggio sono diventate il simbolo degli abusi subiti dal giovane. Del dolore di una famiglia, del suo bisogno di verità. Si affiancavano, drammaticamente, a quelle di Stefano anni prima di morire. Che lo ritraggono abbracciato ai genitori, alla sorella. Sempre con il sorriso. Un sorriso di un ragazzo che aveva avuto una vita a volte in salita, i suoi cari non l’hanno mai nascosto, ma che ancora aveva tanta strada da fare. Un sorriso che è stato interrotto, ormai lo dice anche la Suprema Corte, da chi quella notte rappresentava lo Stato. E, quindi, aveva la responsabilità della sua vita.
L’HUFFPOST
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