L’inflazione migliora i conti pubblici

Carlo Cottarelli

Il Documento di Economia e Finanza (Def) è il documento con cui il governo aggiorna le previsioni macroeconomiche e gli obiettivi di finanza pubblica per il medio termine. Spesso è stato il documento in cui obiettivi di risanamento dei conti pubblici venivano ridimensionati anche in presenza di un miglioramento delle condizioni economiche. Il secondo Def del governo Draghi porta invece qualcosa di nuovo: inevitabilmente il quadro macroeconomico peggiora, almeno nel breve periodo, ma il quadro di finanza pubblica resta immutato, anzi, in certi aspetti migliora. In parte questo è dovuto alla prudenza con cui gli obiettivi erano stati fissati in passato, in parte ha a che fare con una nostra vecchia conoscenza, di recente riapparsa: l’inflazione.

Cominciamo dalla crescita. Il tasso di crescita del Pil reale è stato ridotto dal 4,7 per cento previsto nella legge di bilancio, al 3,1 per cento a causa dell’aumento del prezzo delle materie prime (una maggiore tassa che dobbiamo pagare ai produttori di materie prime) e dell’incertezza causata dalla guerra in Ucraina. La crescita prevista si riduce anche per il 2023, mentre risulta sostanzialmente invariata nel 2024. Cosa comporta una crescita del 3,1 per cento? Anche con crescita zero durante l’anno, il Pil annuo sarebbe stato più alto di quello del 2021 del 2,3 per cento (era il cosiddetto “acquisito”). Una crescita del 3,1 per cento significa quindi una crescita nel corso dell’anno. E visto che il Def indica che nel primo trimestre la crescita sarà negativa, dal secondo trimestre in poi il governo prevede un ripresa relativamente rapida. E’ un quadro realistico? Sì, in uno scenario in cui la guerra in Ucraina termina nel giro di qualche settimana o, comunque, non porta a un’escalation militare o economica, la fiducia si consolida e, magari, i prezzi delle materie prime tornano a livelli pre-guerra. Le cose andrebbero però diversamente nel caso di un’escalation del conflitto, compresa una decisione europea (peraltro comprensibile in termini di politica estera) di estendere l’embargo al gas russi.

L’inflazione al consumo per il 2022 è rivista dall’1,6 per cento (una previsione che appariva, a dire il vero, ottimistica anche sei mesi fa) al 5,8 per cento. Poi scende gradualmente, anche se resta più alta del previsto anche per il 2023. Attenzione però a una cosa: il deflatore del Pil, cioè il prezzo di beni e servizi prodotti all’interno aumenta molto meno (3 per cento), visto che, in buona parte, l’inflazione al consumo è importata. Questo attenua (anche se non elimina; vedi sotto) i vantaggi che l’inflazione porta ai conti pubblici, in particolare in termini di rapporto tra debito pubblico e Pil: il Pil dipende infatti dal proprio deflatore e la sua minore crescita comporta una minore erosione da parte dell’inflazione del rapporto tra debito e Pil.

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