La pace sfiduciata
La decisione dell’Italia, sulla scia di Francia, Germania e altri Paesi europei, di espellere una trentina di funzionari dell’ambasciata russa sospettati di spionaggio, non ha nulla a che vedere con la diplomazia, ma è tutta militare. È la conferma che il nostro Paese, come l’intera Ue, si sente parte attiva nel conflitto e, quindi, anche bersaglio dell’intelligence del Cremlino. Una decisione che, per carità, avrà avuto le sue buone ragioni e sarà stata maturata su sospetti e prove fondate. In fondo la guerra di spie è una delle tante facce di un conflitto ed è ovvio che conoscere le mosse dell’avversario è uno dei fattori che può portare alla vittoria. Insomma, si tratta di uno scontro che è nelle cose e non deve suscitare scalpore più di tanto.
Questa vicenda, però, si tira dietro anche un’altra valutazione di non poco conto. Ieri avevo scritto che ci aspetta «un domani di guerra», cioè un conflitto permanente che potrebbe accompagnarci per un anno, se non di più, con fasi di maggiore o minore intensità. Quello che è avvenuto ieri ne è la conferma, perché assumere un provvedimento del genere – e di queste proporzioni nei numeri – significa tagliare le gambe alla diplomazia e determinare una profonda rottura nel breve-medio periodo con Mosca. Soprattutto, si certifica che c’è un’assenza di fiducia tra le parti in campo, per cui la logica militare risulta prevalente.
Soprattutto, emerge un profondo scetticismo verso il negoziato. Nessuno punta le sue fiches sulla possibilità di raggiungere un’intesa nel giro di qualche settimana. Nessuno vede, nei fatti, un compromesso o una mediazione all’orizzonte. Le mosse di Putin dimostrano che la via prioritaria resta quella militare, che lo Zar non si accontenta della Crimea e del Donbass ma ha in mente di mettere insieme un’altra Ucraina con i territori del Sud-Est, motivo per cui nelle prossime settimane ci sarà su quel versante una nuova offensiva russa. Se l’operazione militare del Cremlino avrà successo è evidente che Putin non accetterà mai di ritirarsi dai territori conquistati e questo atteggiamento renderà molto difficile, se non impossibile, un’intesa con Zelensky.
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