Perché i negoziati stanno fallendo

Domenico Quirico

Che cosa importa quello che abbiamo pensato e detto finora? Ci avevano chiesto soltanto la nostra pazienza, un po’ di indignazione per l’aggressione e pietà per l’aggredito. Ci dicevano noi non siamo in guerra, noi non facciamo la guerra. Noi siamo la pace. Noi abbiamo dato volentieri tutto questo, pazienza e indignazione. E poi la guerra come si poteva prevedere fin dal primo giorno ha alzato le sue pretese. Improvvisamente ci siano accorti che le serviva ben altro. Ovvero che anche noi entrassimo in guerra. La guerra voleva anche noi.

Ha fatto in fretta la guerra. Appena un mese ed eccola qua. Dalle armi non letali e difensive siamo al triplice grido di guerra del ministro ucraino: armi armi armi! Non bastano mai. La Germania sta per diventare la terza o seconda potenza militare del mondo. Dal cordone sanitario siamo passati alla Nato versione planetaria con il Giappone, la Corea del sud, l’Australia, l’obbligo automatico (terribile aggettivo) di difendere un membro in pericolo si estende agli oceani. Le portaerei si muovono. Nancy Pelosi speaker del congresso americano va a Taiwan perché i cinesi intendano. Accorrono in Ucraina volontari stranieri, a migliaia, (foreign fighters suona male), gente che non vuol perdersi il posto in prima fila per il massacro. Invece di arrestarli li intervistiamo reverenti, questi eroi in anticipo. Parliamo delle atrocità commesse dai “mongoli” in divisa russa, i secoli passano ma Tamerlano e Gengis Khan e le piramidi di teschi sono sempre evocativi… La zeta di “za pobedu”, per la vittoria, compare sui corazzati russi a Tell Amer in Siria. Ecco: loro sì che hanno capito tutto. Da ora in avanti altro che Mariupol e Odessa, si combatte ovunque la carta strategica diventa mondiale. Inutile nascondere i simboli. In realtà ci eravamo messi fuori gioco. Potevamo desiderare la vittoria degli ucraini e la umiliazione dei russi, non tutti c’era perfino chi auspicava il contrario. Ma eravamo sotto sotto, facendo la faccia dura, convinti che un muro invisibile ci separasse dalla guerra ovunque fossimo. Eravamo così presi da un disgusto assoluto per questa guerra marcia che cercavamo di non pensarci: ci sono degli idioti che vogliono ancora combatterla una guerra, allora che si gustino tutte le conseguenze della loro follia anacronistica. Non avevamo paura. Ma non per coraggio per la una provvidenziale costruita anestesia.

Ci hanno spogliato giorno dopo giorno, con metodo di ogni possibilità di tregua, cessate il fuoco, accordo momentaneo. Di pace, a questo punto, credo che nessuno abbia mai parlato se non per furbizia temporeggiatrice. Le trattative zoppicanti ambigue ritualistiche sono scivolate nel nulla. Sono morte e sepolte. Si benedicono ormai bandiere da una parte e dall’altra. L’Onu è dichiarato morto di vergogna da uno dei belligeranti (ma questo lo sapevamo dall’inizio di questo disastro, non ci siamo mai illusi) e tutti tacciono tirando un sospiro di sollievo che qualcuno l’abbia detto, per non doversi più occupare di consigli di sicurezza, di veti e di altre cianfrusaglie. Adesso la guerra sta per insinuarsi nelle più immediate delle nostre attese, è il nostro avvenire. Risuona leggermente aggiornata, politicamente più corretta la sciagurata domanda retorica: volete burro o cannoni? Come volete si possa rispondere ormai?

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