Se Putin chiude i rubinetti del gas, due anni di recessione e inflazione all’8%
È lo scenario più severo, quello con condizioni e ricadute estreme, ma l’evoluzione incerta della guerra legittima la necessità di considerarlo al pari degli altri, meno avversi, che sono riportati nell’ultimo bollettino della Banca d’Italia. Partiamo dal danno per l’economia italiana: il Pil con il segno meno davanti, giù a -0,5% sia quest’anno che il prossimo. Due anni di recessione. E prezzi ancora più alti di quelli attuali, con l’inflazione che si avvicinerebbe all’8 per cento. Certo, dovrà mancare il gas russo per un anno, a partire da maggio, per arrivare a tanto, ma oltre al fatto che questa opzione non è irrealistica, è lo stesso bollettino a dire che “nell’attuale contesto di fortissima incertezza non si possono escludere scenari ancora più sfavorevoli”.
Ma torniamo allo scenario. Il primo elemento da prendere in considerazione per capire quanto può diventare reale è la durata della guerra. Se sarà lunga, allora il rischio si farà più concreto. Sulla durata non c’è unanimità tra gli analisti e nei governi, anche perché è ancora elevato il tasso di imprevedibilità delle mosse di Putin. Le valutazioni cambiano di ora in ora. L’ultima, espressa dal ministro degli Esteri Luigi Di Maio, dice che dobbiamo aspettarci una guerra lunga. Il secondo elemento è il gas: le forniture dalla Russia, che l’anno scorso hanno portato in Italia 29 miliardi di metri cubi (su un totale di 75 miliardi di metri cubi di metano bruciati in casa) dovrebbero mancare dal mese prossimo e per i prossimi undici.
Cosa succederebbe in quel caso? La produzione del settore di fornitura di energia elettrica, gas, vapore e aria condizionata si ridurrebbe del 10%, sempre però che nel breve termine si aumenti la produzione nazionale, oltre a fare arrivare più metano da altri Paesi fornitori, in modo da compensare circa 2/5 delle mancate importazioni dalla Russia. A risentirne sarebbero le imprese della manifattura che utilizzano un’elevata quantità di corrente elettrica e gas, generando un’erosione del valore aggiunto complessivo dell’economia di circa l’1,5 per cento. Il perimetro dei danni, però, sarebbe molto più largo: meno posti di lavoro e una diminuzione dei redditi. Ancora bollette molto più care perché i prezzi del gas aumenterebbero del 130% rispetto ai livelli, già imponenti, di inizio gennaio, e di circa il 90% nel 2023. Salirebbero anche i prezzi del petrolio, di circa 40 e 30 punti, rispettivamente quest’anno e il prossimo, facendo aumentare il prezzo della benzina. Ma è il dato del Pil, con più di sette punti bruciati in due anni, a marcare non solo la recessione, ma anche una durata – due anni appunto – che collocano la crisi provocata dalla guerra in linea con quella causata dalla pandemia, anche se la distinzione non può essere netta dato che una parte di questa crisi – dai problemi delle catene di distribuzione e di valore al caro prezzi – è stata sì ampliata dal conflitto, ma esisteva anche prima.
Nel bollettino della Banca d’Italia sono riportati anche altri due scenari. Quello più favorevole parte dall’ipotesi che la guerra finisca a breve, dissipando l’incertezza e sostenendo la fiducia. I prezzi delle materie prime inizierebbero a diminuire, con quelli del gas e del petrolio che a giugno tornerebbero sui livelli attesi all’inizio di gennaio: in questo modo gli incrementi che sono inclusi nelle quotazioni dei futures (+40% per il gas e +30% per il petrolio) verrebbero annullati. Il Pil arriverebbe al 3% (3,1% nel 2023), l’inflazione sarebbe pari al 4% per scendere all’1,8% il prossimo anno. Sul dato della crescita bisogna fare una riflessione e cioè ricordare che l’aumento del Pil sarebbe comunque inferiore di quasi un punto percentuale rispetto alla stima fatta dalla stessa Banca d’Italia appena a gennaio. E lo stesso vale per l’inflazione, che sarebbe più alta di mezzo punto rispetto a quanto stimato tre mesi fa.
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