Se Putin chiude i rubinetti del gas, due anni di recessione e inflazione all’8%
A determinare un Pil comunque meno positivo di quanto previsto è soprattutto l’andamento peggiore delle attese nel primo trimestre. I primi tre mesi dell’anno risentono della flessione che ha iniziato a prendere forma già nel trimestre precedente e dato che la guerra è scoppiata il 24 febbraio, quindi verso la fine del trimestre stesso, è evidente che tiene conto anche di altri elementi. Unendo la risalita dei contagi legati alla variante Omicron, l’incremento dei costi energetici e il conflitto in Ucraina viene fuori una caduta del Pil dello 0,7% rispetto all’ultimo trimestre del 2021. La portata di questa retrocessione è importante, aggravata proprio dalla guerra.
Ma torniamo agli scenari del bollettino. Tra quello più favorevole e quello più severo, c’è un terzo – definito intermedio – che parte sempre dall’ipotesi che la guerra non finisca a breve. Lo scenario assume che nei prossimi due anni si riducano gli scambi con Mosca e Kiev, con la domanda estera di beni e servizi italiani tagliata di circa l’1 per cento. L’incertezza e il deterioramento della fiducia finirebbero all’inizio del 2023. In questo caso il Pil sarebbe pari al 2,2% (1,8% nel 2023), l’inflazione al 5,6% (al 2,2% l’anno prossimo). Anche qui vale il discorso fatto per lo scenario più favorevole e cioè un impatto forte ed evidente della guerra sul corso dell’economia che prima dell’inizio del conflitto era instradata su tutt’altro sentiero. Sempre rispetto alle proiezioni fatte dalla Banca d’Italia a gennaio, infatti, la crescita sarebbe inferiore dell’1,6% quest’anno e dello 0,7% il prossimo. Non solo per colpa di un primo trimestre andato più male di come si pensava, ma anche per i rincari delle materie prime.
L’elemento che segna una differenza tra i primi due scenari e il terzo è il gas. Bankitalia ricorda che dalla Russia proviene più di un quinto delle importazioni italiane energetiche e per il solo gas naturale la quota supera il 45 per cento. Al di là dell’impatto catastrofico sul Pil, nel bollettino è riportata un’indicazione importante, al centro del grande tema dell’opportunità o meno di spingere un embargo nei confronti di Mosca. L’interruzione dei flussi di gas russo potrebbe essere compensata per circa due quinti entro la fine dell’anno e senza mettere mano alle riserve nazionali. Ma bisogna importare più gas naturale liquefatto, assicurarsi che dai tubi collegati con gli altri Paesi esportatori arrivi più metano, ancora aumentare la produzione nazionale di gas. Sono tutte azioni legate a variabili che non dipendono solo dalla volontà dell’Italia. E anche per questo lo scenario severo non è un puro esercizio di drammatizzazione.
L’HUFFPOST
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