La strategia Ue per fare a meno del gas russo ha un baco: il gnl è poco e costerà tanto
Ma le criticità maggiori nel piano per incrementare gli approvvigionamenti di gnl non russo sono a monte della catena, non tanto a valle. La capacità di rigassificazione è molto più semplice da incrementare rispetto a quella di liquefazione. Un primo segnale in questo senso è stato dato dal presidente degli Stati Uniti che si è impegnato a fornire all’Ue entro il 2022 “solo” 15 miliardi di metri cubi di gas in più. Nonostante sia nell’interesse americano prendere il posto della Russia nella fornitura di gas al più grande mercato globale, gli Stati Uniti sono riusciti a mettere sul piatto una fornitura aggiuntiva piuttosto esigua. Il segretario di Stato Blinken ha detto che l’uscita dell’Unione europea dalla dipendenza russa dovrà essere “graduale”. Nel 2019 gli Usa erano il terzo esportatore di gas al mondo ma all’inizio del 2022 sono diventati i primi. Tutti i sette impianti stanno già lavorando al massimo della loro capacità di liquefazione.
In questi giorni il prezzo del gas all’Henry Hub, il benchmark del gas negoziato a New York, ha toccato i massimi dal 2008. Le ragioni sono diverse: la coda dell’inverno negli Usa ha incrementato la domanda di riscaldamento, i siti di stoccaggio sono pieni per meno del 20%, al di sotto della media degli ultimi anni, e come notato da Greg Molnár, analista per l’Agenzia internazionale dell’Energia, la produzione pur in aumento non cresce abbastanza rapidamente a causa di problemi burocratici e strozzature infrastrutturali. Nei primi tre mesi dell’anno il commercio globale di gnl è aumentato (l’export americano è cresciuto di oltre il 25%) ma secondo gli analisti di Bloomberg già ad aprile le esportazioni globali di gnl caleranno del 7,4% rispetto a marzo. Una conseguenza degli interventi di manutenzione negli impianti in Australia, negli Usa e nel Qatar. Possibile anche un calo degli arrivi di gas liquefatto dalla Nigeria a causa del sabotaggio di un gasdotto.
Da settimane il gnl sembra essere diventata la soluzione di tutti i problemi. Ma la realtà potrebbe rivelarsi molto più amara: ad oggi la capacità di liquefazione di gas globale è pari a circa la metà della capacità di rigassificazione. Detta diversamente, a livello mondiale le infrastrutture esistenti consentono di rigassificare fino a milleduecento miliardi di metri cubi di gas liquido (circa il 60% si trova in Asia) mentre la capacità di liquefare gas ammonta a soli seicento miliardi di metri cubi. Quello del gnl già prima della guerra era un mercato estremamente ristretto in seguito alla forte domanda asiatica esplosa dopo la fase dei lockdown per la pandemia. La forte domanda che è attesa arrivare dall’Europa per affrancarsi dal metano di Putin provocherà ulteriore stress sui mercati globali. Gli analisti sostengono che la capacità di liquefazione è già utilizzata totalmente, circa il 90%. In altre parole gran parte del gnl che verrà destinato al mercato europeo sarà sottratto ad altri mercati. La produzione non si può aumentare in tempi brevi: gli Usa stanno lavorando alla costruzione dell’ottavo impianto, il Golden Pass, ma non sarà operativo prima del 2024. Gli impianti di liquefazione sono più costosi e con tempi di costruzione più lunghi. Secondo un rapporto di marzo di Credit Suisse riportato da Bloomberg, il mercato globale di gnl potrebbe perciò trovarsi a corto di quasi 100 milioni di tonnellate all’anno entro il 2025. Una quantità enorme, pari alla domanda annuale della Cina.
Qui si apre il capitolo del prezzo. Secondo l’Aie gli importatori di gnl pescano dagli stessi bacini di approvvigionamento, e l’aumento della domanda europea porterebbe a mercati eccezionalmente ristretti e prezzi molto elevati. L’Ue dovrà quindi competere con la concorrenza asiatica, spietata vista la fame energetica dei Paesi in via di sviluppo unita a una carenza infrastrutturale che di certo non è paragonabile all’immensa rete di gasdotti che attraversa l’Europa, e contendersi persino le metaniere, le navi che trasportano il gas liquefatto, che già hanno visto un aumento dei noli dall’inizio della crisi energetica. In Pakistan, Argentina, Thailandia e altri Paesi poveri di energia già si temono interruzioni di energia elettrica e riscaldamento. Secondo uno studio dell’Oxford Institute for Energy studies, alcuni Paesi come la Cina e le nazioni dell’Asean (Filippine, Indonesia, Singapore, Vietnam, Cambogia ecc) dovrebbero aumentare la loro domanda rispettivamente di 13 miliardi di mc e di cinque miliardi di mc. In altre regioni del mondo, invece, la domanda è stimato che cali. In sintesi, l’Ue potrebbe sperare di avere a disposizione sul mercato circa 30 miliardi di metri cubi, ma si tratta comunque di stime che potrebbero rivelarsi sbagliate. Secondo un report di aprile di Argus Media la fornitura globale nel 2022 dovrebbe aumentare, in particolare grazie agli Usa, ma la crescita della produzione quest’estate è attesa rallentare rispetto agli anni precedenti.
Resta sottointeso che gli esportatori di gnl non solo americani ma anche austrialiani o qatarioti saranno propensi a dirigersi verso il vecchio continente solo se il prezzo europeo sarà più alto rispetto a quello asiatico, col rischio di innescare una guerra dei prezzi per accaparrarsi forniture limitate, oltretutto non vincolate dai contratti a lungo termine. Nel 2020, secondo i dati dell’International Group of Liquefied Natural Gas Importers, solo il 60% del gas liquido era venduto sul mercato spot, mentre il restante 40% era regolato da contratti (5% a breve termine, 35% a lungo termine). Alla base dell’accordo tra Ue e Usa per portare a 50 miliardi le forniture annue di gas americano entro il 2030 c’è l’impegno a venderlo a un prezzo “accessibile”. Ovviamente, “più i contratti saranno lunghi più il prezzo sarà basso”, hanno fatto sapere nei giorni scorsi i funzionari di Bruxelles.
Uno scenario non molto incoraggiante se si pensa che attualmente, a causa delle tensioni sul gas e la guerra ucraina, l’Ue sta spendendo circa il 10% del suo Pil in energia, il valore più alto dalla seconda crisi petrolifera del 1981, secondo un calcolo di BlackRock. “È chiaro che rendersi indipendenti dalle fonti d’energia russa è un lavoro molto duro”, ha detto il cancelliere tedesco Scholz dopo un incontro con il premier britannico Johnson. “Non si tratta solo di trovare fornitori alternativi in altre parti del mondo, si tratta anche di portare il gas nel nostro Paese”. Tra le infrastrutture citate da Scholz, “ci sono per esempio i terminali per ricevere il Gnl” al posto di quello in arrivo dalla Russia. Ma a ben vedere l’Ue sembra stia facendo i conti senza l’oste.
L’HUFFPOST
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