Gianrico Carofiglio: “Perché non possiamo dirci equidistanti sulla guerra tra Russia e Ucraina”
di Concetto Vecchio
Gianrico Carofiglio, che idea si è fatto del nostro dibattito pubblico sulla guerra?
“Mediocre, a tratti pessimo, ovviamente con alcune eccezioni. Ci sono personaggi che, in nome di una malintesa complessità, recitano per ego una parte in commedia. Assomigliano al Nanni Moretti di Ecce bombo: ‘Mi si nota di più se…'”.
Andare alla ricerca delle cause del conflitto non è però il compito di un intellettuale?
“Sì, ma se lei per strada incontra un uomo che sta picchiando la moglie
cosa fa? S’interroga sulle cause o prova ad aiutare la donna anche
chiamando i carabinieri? Bisogna provare a salvare, nel limite possibile
dei nostri mezzi, l’Ucraina invece che limitarsi a dire ‘ah, però la
Nato'”.
Non è il momento di discutere delle cause?
“Possiamo naturalmente riflettere sulle cause, anche remote, a patto che ciò non diventi un alibi per evitare le decisioni”.
Un pezzo di sinistra si è detta contraria all’invio di armi.
“Se avessi dovuto decidere io, avrei votato per mandarle, ma con molto
disagio e sofferenza. Ma di fronte a una richiesta di difesa da parte di
un popolo aggredito come si risponde?”.
Non si sta facendo troppo poco per la pace?
“Tutti vogliamo la pace. Ma la vuole anche Putin? Si rischia il vaniloquio”.
Le sembra velleitario?
“Limitarsi a dire ‘bisogna aumentare gli sforzi per la pace’ senza dire
come è un po’ come dire ‘bisogna essere buoni’, o ‘bisogna voler bene
alla mamma’”.
Non è un’urgenza?
“Cerco di spiegarmi con un aneddoto. Quando ero pubblico ministero mi
occupai dell’omicidio di un mafioso. C’erano due famiglie che si
contendevano il territorio, e il capo di quella più debole, per sfida,
volle passeggiare davanti alla casa del capo della famiglia più forte.
All’indomani venne ucciso. Certo, anche qui il contesto era importante,
la provocazione giocava un ruolo, ma questo non ci impediva di arrestare
e di far processare gli assassini”.
Cosa rimprovera a chi invoca la complessità?
“Vi scorgo a volte una rivendicazione implicita di agnosticismo. Su
questo tema sono sicuramente gramsciano e penso che non possiamo dirci
indifferenti o equidistanti”.
La discussione non è un segno di democrazia?
“Certo, il problema è quando prevale la voglia di indossare una
maschera, di recitare un ruolo in un dibattito viziato da numerose
fallacie. Quella più vistosa è l’inversione dell’onore della prova. Non
so cosa sia successo con quel missile a Kramatorsk, ma è paradossale che
si chieda agli ucraini di provare che non sono stati loro”.
È figlia del complottismo dilagante?
“Mi sembra una chiave corretta. La questione si può esemplificare come
segue. Se io sono sul balcone, vengo colpito da un proiettile e vado a
fare denuncia non è che il carabiniere mi chiede: ‘Provami prima di non
esserti ferito da solo'”.
Vi ravvisa un’ideologia anti occidentale?
“In qualche caso sì, prevalgono i postumi della delusione per
un’ideologia perduta. In altri casi è solo un modo di guardare alle cose
con i paraocchi. Di fronte alla domanda: la Russia sta compiendo una
cosa abominevole non si può rispondere’ah però, anche l’America in
passato. Non adesso, dico’”.
La propaganda non c’è da entrambe le parti?
“Certo. E la guerra si combatte anche su questo fronte mediatico. Lo sappiamo benissimo”.
Anche lei però frequenta i talk.
“Faccia caso che ho molto diradato le mie presenze”.
Perché?
“Perché non mi piace il tono che ha preso il dibattito, carico sempre
più di offese alla persona. Si pensi a quello che hanno detto a Lucio
Caracciolo. Si può non sempre essere d’accordo con quello che dice, ma
mi sembra un’enormità definirlo putiniano”.
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