Caro Draghi, voglio la pace ma anche il fresco

Si sa che ormai, ancora prima della pandemia, ci eravamo abituati a pretendere, e a ricevere, solo notizie di disastri, stragi, femminicidi, giusto per essere sempre più incavolati e spaventati e aver materia per i social. Adesso un tripudio di nefandezze e crimini, distruzioni e fughe, i cadaveri, i bambini, le torture, gli immigrati, i peluche, le donazioni, l’ospitalità: soprattutto la propaganda, il rimbalzo delle colpe, le menzogne, l’indifferenza. Mi auguro che il volto affranto e le parole (“la nostra umanità è distrutta”) della signora Ursula von der Leyen a Bucha, davanti ai sacchi neri con i resti di gente qualsiasi che potremmo essere noi, zittiscano almeno i negazionisti che trionfano in tv. Riassumendo: c’è chi, conoscendo la Storia, vuole raggiungere la pace con la guerra, cioè inviando armi al Paese vittima affinché almeno si difenda (visto che non aggredisce il Paese nemico), e chi (buonista, putinista, idealista, furbacchione, salvinista, addirittura lepenista) chiede che sia la diplomazia, quella misteriosa entità che non aveva previsto l’invasione, non aveva saputo evitarla e non pare che adesso l’invasore voglia ascoltarla. I nostri Otelma, temo, avranno ancora spazio e tempo per le loro negromanzie televisive e social perché si comincia a dare alla parola “pace” un significato di lontananza, di fantasia, di sogno. E intanto noi prenotiamo per l’estate la pensioncina di mezza montagna dove si andava da bambini, esorcizzando un futuro di pane di carrube, quello disgustoso che però ci ha tenuto in vita nella nostra guerra mondiale. E alla fine siamo ancora qui.

REP.IT
 

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