Quelle differenze tra Italia e Francia
di Stefano Folli
Esiste una versione italiana di Mélenchon, leader di quella sinistra radicale che in Francia non si riconosce nei partiti storici ridotti al lumicino? Il gioco dei paragoni spesso è sterile, ma in questo caso ha un senso, più per le differenze tra i due paesi che per le loro somiglianze. Un sosia di Mélenchon non c’è da noi: in altri tempi avrebbe potuto essere Bertinotti, come coordinatore di un arcipelago di sigle alla sinistra del Pd. Oggi per il ruolo si propone, ma non in maniera esplicita, Giuseppe Conte con il suo M5S, evoluto dal primitivo “grillismo”. Tuttavia l’avvocato pugliese non ha la malizia politica del consumato navigatore d’oltralpe. Tanto è vero che va in televisione e dice parole comprensive per Marine Le Pen “che ha posto temi su cui siamo molto sensibili anche noi”. Viceversa Mélenchon nelle serata di domenica affermava in modo netto che nessun voto al secondo turno deve andare a consolidare la candidata di destra.
È chiaro che il capo di “France Insoumise”, con la sua dialettica che
non è certo quella di un riformista, è personalmente favorevole alla
rielezione di Macron, da cui ricaverebbe un
considerevole spazio politico nel deserto della vecchia sinistra. Ma è
altrettanto evidente che egli non controlla tutti i suoi voti, figli di
un successo senza precedenti (oltre 7 milioni, quasi il 22 per cento).
Quindi la Francia che ha votato per Le Pen
e per Mélenchon — insieme raccolgono più del 45 per cento — è un
fenomeno non riducibile allo schema domestico di Conte. Il quale è di
fatto il solo leader italiano ad aver espresso un giudizio abbastanza
positivo sulla candidata del “Rassemblement”, se si eccettua
l’entusiasmo senza freni di Salvini. Il capo leghista è al momento in
tali difficoltà che ha proiettato se stesso nei panni di Marine: vede in
lei tutto quello che egli non è riuscito a essere in questi due anni di
declino. In sostanza Salvini e Conte parlano un linguaggio diverso nei
toni, ma non nella sostanza. Il primo guarda alla signora della destra,
il secondo oscilla tra lei e Mélenchon. In pratica entrambi sono sedotti
da due versioni di un populismo non così divergente, le cui radici
affondano in un reale malcontento diffuso.
Il punto è che a Parigi Macron va allo scontro con la Le Pen ma non fa
accordi con il leader della sinistra radicale. Da noi invece Enrico
Letta è legato a Conte da un rapporto meno stringente che in passato
eppure ancora condizionante (anche a causa della legge elettorale).
Peraltro Letta non è il Macron italiano: viene da una storia politica
più complessa e il suo Pd non è assimilabile al francese “En marche”.
L’omologo italiano sarebbe stato Renzi, se avesse vinto la sua scommessa
politica. Quindi Letta, nel momento in cui lancia un ambizioso
programma per l’integrazione europea il cui senso piacerebbe a Jacques
Delors, si trova a non poter del tutto fare a meno di Conte-Mélenchon
occhieggiante a Marine Le Pen. Un nodo che il centro-sinistra dovrà
sciogliere.
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