Variante XE, sintomi e contagiosità: cosa sappiamo finora
Come emergono le varianti ibride?
Ogni singolo virus è in genere una copia quasi esatta del suo unico genitore. Tuttavia i virus possono subire un processo chiamato ricombinazione e avere due genitori. I virus ricombinanti possono emergere quando due o più varianti infettano la stessa cellula di un individuo, consentendo alle varianti di interagire durante la replicazione. Questo meccanismo comporta un «miscuglio» di materiale genetico e si formano così nuove combinazioni di virus. Di fatto è quello che è successo con XE.
Perché stiamo osservando ora le varianti ricombinanti?
In realtà nel corso dei due anni di pandemia Sars-CoV-2 il virus ha subito diversi cambiamenti ma ogni singolo ricombinante o variante non ha necessariamente elementi tali da trasformarlo in variante di preoccupazione. Il motivo per cui stiamo assistendo a una maggiore ricombinazione è probabilmente dovuto al fatto che rispetto all’inizio della pandemia, più di recente hanno circolato più virus in contemporanea (Delta, BA.1, BA.2) e i lignaggi hanno avuto quindi la possibilità di coinfettare. «Inoltre oggi siamo più capaci di rilevare la ricombinazione: all’inizio della pandemia c’era poca diversità genetica nel virus Sars-CoV-2 e i ricombinanti sembravano molto simili ai non ricombinanti perché i due virus genitori erano quasi identici» spiega Tom Peacock , virologo all’Imperial Department of Infectious Disease all’Imperial College.
Quali sono le altre varianti ricombinanti?
XE non è l’unica variante ricombinante finora identificata: ci sono XA, XB ecc, fino a XS. Alcune di queste varianti sono state sequenziate già a metà del 2020, alcune sono state viste poche volte mentre altre contano centinaia di sequenziamenti. Finora esistono due tipi principali di ricombinanti : miscele di Delta e Omicron (chiamate un po’ impropriamente Deltacorn) e miscele di sottovarianti di Omicron.
In particolare XD e XF sono formate da materiale genetico di Delta mescolato a BA.1 Omicron. XD è stato rilevato per la prima volta in Francia (alcune decine di sequenze) e poi in Germania, in Danimarca e nei Paesi Bassi. Contiene una miscela della proteina spike BA.1 e il resto del genoma di Delta. Inizialmente c’à stata qualche preoccupazione sul fatto che potesse aver ereditato la maggiore capacità di BA.1 di eludere le nostre difese immunitarie e contemporaneamente l’elevata virulenza di Delta. Per fortuna a oggi XD non sembra diffondersi rapidamente.
La sottovariante XE deve davvero preoccupare?
Non ci sono ancora prove che suggeriscano che i virus ricombinanti siano una minaccia peggiore per la salute pubblica rispetto a qualsiasi altra variante. I ricombinanti dovrebbero comunque essere attentamente monitorati in modo da poter capire se inducono cambiamenti nella trasmissibilità del virus, nella gravità della malattia o nella capacità di sfuggire alla protezione immunitaria indotta dal vaccino. «Se sei vaccinato e per il resto in buona salute, non dovresti preoccupartene. Se non sei vaccinato o hai comorbilità, c’è motivo di preoccupazione» sintetizza Badley
La buona notizia è che ci sono ancora relativamente pochi casi di XE. «Sappiamo dell’esistenza della variante XE da metà gennaio», afferma Badley. «Ora, due mesi e mezzo dopo, stiamo ancora vedendo casi, ma non è esplosa». Per contestualizzare, aggiunge: «Omicron è stata identificata per la prima volta a novembre e in quattro settimane è arrivata in tutto il mondo. Quindi XE non sembra una nuova variante così dominante come lo era Omicron».
«È abbastanza probabile che i ricombinanti che contengono la Spike e le proteine strutturali di un singolo virus, come appunto XE agiscano in modo simile al loro virus parentale» aggiunge Tom Peacock. È dunque verosimile che XE non agisca in modo diverso rispetto ai due genitori.
Le terapie funzionano anche contro XE?
«BA.1 e BA.2 possono sfuggire ad alcune delle terapie con anticorpi monoclonali», quindi è improbabile che questi farmaci funzionino altrettanto bene contro XE, afferma Badley. «Sappiamo anche che le altre terapie utilizzate in particolare in ambito ambulatoriale, Paxlovid e molnupiravir, dovrebbero continuare a funzionare anche contro il ceppo XE»
I vaccini funzionano contro XE?
Sappiamo che i vaccini funzionano per proteggere dalle malattie sintomatiche per BA.1 e BA.2, e quindi abbiamo tutte le ragioni per sospettare che le strategie di vaccinazione avranno un’attività per proteggere dalle malattie sintomatiche causate da XE . È tuttavia noto che la protezione vaccinale cala, anche nei confronti del ricovero. I dati inglesi indicano che dopo due mesi e mezzo dal richiamo si perde circa il 6% di efficacia che poi continua a scendere nel tempo. I dati italiani indicano che tra gli over 60 a tre mesi dal booster l’efficacia cala di 9 punti percentuali, in linea con i numeri inglesi. È un dato di fatto che più tempo trascorre dal booster meno si è protetti da Omicron, senza dover per forza chiamare in causa XE che, avendo come genitori Omicron, non dovrebbe comportarsi in modo differente per quanto riguarda l’efficacia del vaccino.
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