Putin scava un altro fossato e impedisce di aprirci a est
Massimo Cacciari
Detestare Putin – per ciò che fa all’Ucraina e se possibile ancora di più per ciò che fa alla Russia e all’Europa. L’aggressione ha decretato la fine, temo irreversibile, di quella che poteva rappresentare la loro sola destinazione, il loro solo destino come grandi, autonome potenze culturali e politiche nel mondo attuale. Da quale fonte poteva la grande Russia attingere l’energia per assumere il ruolo globale che storicamente le appartiene dopo il crollo dell’Urss? Forse ripetendo, sotto mutate spoglie, il peggio di quella esperienza? Cercando di recuperare, con mezzi diversi, la precedente dimensione imperiale, ora con la repressione, vedi Cecenia, ora attraverso accordi tra oligarchie e autocrazie corrotte, e ora addirittura con invasioni? No – soltanto attraverso foedera, accordi, patti inter pares, e in base a quelle idee, a quelle tradizioni che avevano dato voce alla grande cultura russa consapevole, più di qualunque altra, della imminente catastrofe alla fine del XIX secolo: la Russia che voleva operare perché il termine “fratellanza” non rimanesse un’aggiunta vuota a “libertà e uguaglianza”, e nello spirito del suo cristianesimo trovasse la forza per diventare fattore reale dell’agire politico. Utopie, dice il realismo degli Stenterelli – ed ecco dove conduce il realismo e la “tecnica” senza idee, ridotti a miope calcolo di interessi, a egoismi nazionalistici.
E come avrebbe potuto la Russia, dopo il tragico fallimento (che forse non siamo ancora in grado di cogliere in tutta la sua storica grandezza) dell’URSS, mantenere il proprio ruolo globale se non attraverso un nuovo rapporto, fondato su accordi di pace e non armistizi, su visioni strategiche e non prezzi del gas, con l’Europa occidentale? Anche questo era il destino segnato dalle più grandi intelligenze russe del XIX° e XX° secolo.
E l’Europa? Quale Dio crudele può ingannarci fino al punto di non comprendere che una Europa politicamente unita, davvero sovrana, davvero capace di essere parte decisiva nel risolvere i conflitti internazionali, tutti globali nel mondo globale, non avrebbe mai potuto esistere senza quel nuovo rapporto con la grande Russia? Una politica europea degna del nome di “politica” avrebbe dovuto svolgersi tutta nel senso di una apertura all’Est, di una Ostpolitik, che non poteva certo arrestarsi alla frettolosa, improvvisata integrazione al proprio interno di paesi finalmente liberati dall’oppressione sovietica e inevitabilmente agitati da spinte nazionalistiche. Era anche questo un destino implicito in tante preveggenti posizioni dell’intelligentsia europea; in particolare, esso riguarda gli innumeri, profondi, storici legami tra Germania e Russia (guai a pensare che tutto si risolva nell’aggressione nazista). La Germania avrebbe potuto svolgere il ruolo di leader dell’Unione europea (e soltanto la Germania lo avrebbe potuto) soltanto se fosse riuscita a far condividere da tutti i Paesi membri una grande, strategica Ostpolitik. Un’Europa che finisce con un Muro al confine polacco e ucraino (e che continua a vedere il Mare nostro come un altro Muro) sarà sempre soltanto una provincia atlantica politicamente, e geograficamente una penisola asiatica.
Se è questo che Putin e i suoi volevano ci sono perfettamente riusciti. Messa fuori gioco la (potenziale) leadership tedesca, rovinata forse per sempre la possibilità di un dialogo russo-europeo, schiacciata la presenza europea dalla logica stessa della guerra sotto l’egemonia della Nato, e cioè dell’America. Basterebbe e avanzerebbe perché i patrioti russi operassero in tutti i modi per la defenestrazione dei Putin.
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