La difesa dell’Unione europea: l’esercito che piace (solo ora)

Non basta. Come dimostra nella maniera più evidente l’attuale guerra in Ucraina, oggi, per essere operativo un esercito deve disporre di quattro requisiti essenziali: di un sistema globale di osservazione satellitare, di complessi apparati elettronici di spionaggio e intercettazione, di un sistema efficiente di comunicazioni tra tutte le sue unità sul campo e tra queste e il centro, e infine di un’intelligence capace a tutti i livelli. Ora, specialmente per quel che riguarda il primo di questi requisiti (ma anche per gli altri credo che il discorso non sia troppo diverso) mi sembra molto difficile — se non in tempi medio-lunghi — che un esercito europeo possa offrire garanzie adeguate. Organizzare un sistema di osservazione satellitare efficace, indipendente da quello di cui dispongono gli Stati Uniti, è un’impresa che richiederebbe certamente investimenti e tempi non proprio irrilevanti: anche in questo caso anni. Da qui a quella data che cosa farebbe l’Europa? Manderebbe a combattere un esercito virtualmente cieco?

C’è peraltro una questione ancora più importante di tutte quelle enumerate finora, e cioè: chi è che decide circa l’impiego di un esercito europeo, vale a dire di fatto circa una dichiarazione di guerra e la discesa in campo dell’Ue? La Commissione di Bruxelles non ne ha certo i poteri; allora il Consiglio dei capi di governo? E come? Stando ai trattati attuali, che peraltro non prevedono certo una simile eventualità, dovrebbe trattarsi di una decisione necessariamente all’unanimità: ma è mai immaginabile che su una decisione così drammatica sia possibile mettere d’accordo il Portogallo, Cipro e la Lituania? Insomma: chi decide? Come? E ancora: che cosa ne sarebbe ai fini di un’eventuale dichiarazione di guerra o comunque di un intervento militare, dei vari articoli della Costituzione della Repubblica italiana e di tutte le altre Costituzioni delle democrazie membri della Unione europea le quali più o meno riservano tutte ai parlamenti o ai governi nazionali il diritto di dichiarare la guerra e di disporre delle forze armate?

È fin troppo ovvio, insomma, che senza una profonda e Dio sa quanto ardua riforma dell’Unione europea, senza una riforma che trasformi l’Unione attuale in un autonomo soggetto politico di tipo statale con propri organi di governo legittimati a decidere anche della pace e della guerra, senza di ciò parlare oggi di esercito europeo in alternativa alla Nato è un esercizio puramente velleitario. È un parlare d’altro per evitare di compromettersi con un giudizio sulle cose che sole oggi veramente contano: l’indipendenza dell’Ucraina, la sconfitta dell’aggressione russa.

CORRIERE.IT

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