Virus, guerra e “gauche quinoa”, la stanchezza dei democratici
Marine Le Pen, nata altoborghese ed ereditiera di cognome di partito e di magione nei quartieri alti della capitale, finanziata da Putin e ora incipriata di europeismo posticcio, vince agli antipodi tra chi ha basso reddito, in provincia, fra gli inascoltati e fra gli ultimi. La periferia dell’impero. Zemmour, il giullare di estrema destra, sbaglia campagna elettorale e non convince: il tema dell’immigrazione viene secondo rispetto al portafogli, il tornaconto di ciascuno. Dunque un tripartitismo, le due ali estreme che fioriscono ai lati del Presidente in carica. Meno male che c’è il doppio turno, altrimenti anche la Francia si impantanava in alleanze contro natura, gialloverdi o giallorosse, sempre con l’uomo forte al comando – va da sé, anche qui. Se è vero che in questa fine d’epoca è in corso una battaglia fra dittature e democrazie, se siamo alle soglie di un nuovo secolo autoritario – come Russia, Cina, India e altri pezzi di mondo ci indicano – allora la Francia, in Europa, è la cartina al tornasole dello scontro di civiltà. L’uomo forte ma democratico, ma europeista: Macron. Oppure la donna forte di radice fascista, comunque la si voglia chiamare quella è l’origine: la donna alleata del tiranno contro il quale il mondo intero è in massima allerta. Matteo Salvini, il nostro incipriato d’europeismo, le ha fatto gli auguri e per scaramanzia lei lo ignora. Non ha buoni precedenti l’endorsement di Salvini. Ma la partita è questa, vada come vada: il ballottaggio in Francia è il punto in cui democrazia e tirannide si toccano, il punto in cui la delega al presidente forte è il maggior pericolo. Il punto in cui si decide da che parte va la Storia e che ruolo abbiano, in questa storia, tutti quelli che da casa mettono mi piace e poi non escono. A votare non ci vanno, perché oggi c’è calcetto e tanto è tutto uguale.
LA STAMPA
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