Vittorio Colao: “La guerra in Ucraina non cambia il Pnrr. Ora investiamo sulla sicurezza e difendiamo le nostre imprese”
Un paio di mesi fa aveva annunciato che già ora quattordici
certificati pubblici si possono fare online: ne avete altri in arrivo?
«Innanzitutto,
dall’annuncio a oggi sono stati scaricati 2 milioni di certificati
pubblici, e dal 27 di aprile ci sarà il cambio di residenza, disponibile
per tutti gli italiani. Il passo successivo per noi è la notifica
digitale, quindi anche il domicilio digitale: vogliamo evitare che gli
italiani debbano ricevere la raccomandata con ricevuta di ritorno,
pagare 12 euro per i costi di trasporto e carta».
A che punto siamo con le gare per la banda ultra-larga?
«La
gara è chiusa, c’è una commissione che sta giudicando, ci sono state
offerte e verrà realizzata. Quella è la prima gara. Poi c’è quella che
permetterà di portare il 5G nelle aree rurali, e che dobbiamo ancora
chiudere».
Che tempi prevede?
«Per il 30 giugno dobbiamo farcela, sia per la banda ultra-larga sia per il 5G. Sono fiducioso».
Le aziende sono collaborative?
«Il settore
italiano delle telecomunicazioni è stato troppo trascurato e le policy
pubbliche non sono state delle migliori. Dopo queste gare mi sono
permesso di fare un momento di riflessione, anche con le autorità, per
ragionare su che cosa possiamo fare per dare veramente lo slancio che
servirà nei prossimi anni. Abbiamo chiesto molto a questi operatori,
adesso dobbiamo aiutarli».
Il suo lavoro riguarda anche la politica industriale. Da
questo punto di vista c’è il grande tema di Tim e della rete unica: il
governo su questo è rimasto piuttosto neutrale. Lei si è fatto un’idea?
«Il
governo rimane sempre neutrale rispetto ai singoli soggetti, ma non
siamo neutrali rispetto alla visione: abbiamo detto chiaramente che al
Paese serve una infrastruttura di altissimo livello, come ha la Spagna e
non la Germania. Se la necessità è avere una rete unica, allora questa
sia al servizio di tutti, non faccia favoritismi e aiuti la scelta dei
cittadini e la concorrenza. Sta ai singoli consigli di amministrazione
trovare le formule perché questo succeda, non a noi».
Lei è un grande esperto di telecomunicazioni, ha guidato uno dei primi due gruppi al mondo. Qual è il modello?
«Ho
sempre detto che in ogni Paese del mondo non si riescono a fare più di
due reti fisse e spesso si fatica a farne una. Se il prezzo per avere
una infrastruttura importantissima è la rete unica, la si faccia: che
investa, che venda all’ingrosso, rispettando le buone regole della
concorrenza».
Prima accennava del cloud…
«Siamo a buon punto,
ci sono offerte da due consorzi per una partita che vale quasi un
miliardo. E poi ce n’è un’altra, che vale un altro miliardo, a favore
del mercato commerciale. I cyber-attacchi di questi giorni ci spiegano
perché è importante il cloud: se c’è un attacco c’è un backup fatto la
sera prima».
Il tema della cybersecurity, come dimostra
la vicenda della guerra della Russia di Putin, è centrale anche per noi.
Su questo versante che cosa state preparando?
«Partivamo
indietro, non avevamo l’Agenzia per la cyber-sicurezza. È stata creata,
sta assumendo e avrà un suo corpo di 800 esperti, un centro di
assistenza e monitoraggio che aiuterà il privato e il pubblico a
difendersi».
Torniamo al 5G. A lungo c’è stato dibattito sui rischi
impliciti, perché dietro ci sono Huawei e la Cina. È un problema
superato?
«Il caso non riguarda solo il 5G, ma tutto il
mondo dei dati distribuiti e non è specifico di Huawei. Poi c’è il tema
geopolitico e dobbiamo capire se vogliamo avere una quota così grossa
delle forniture da un solo Paese. Credo che l’esperienza del gas
qualcosa ci abbia insegnato. Possiamo dipendere per il 50% della
tecnologia dalla Cina?»
La risposta è no.
«Al primo anno all’università
Bocconi un professore mi ha spiegato che non bisogna dipendere per più
del 30% da un solo fornitore. Credo che la vecchia saggezza avesse
ragione. Per questo abbiamo rivisto la normativa del Golden Power».
In che modo?
«In una maniera molto strategica,
abbiamo detto: per tutte le tecnologie di telecomunicazioni e poi per
quelle di cloud vogliamo avviare un dialogo con le società di mercato
che ci faranno vedere i loro investimenti e chi sono i fornitori, avremo
la visione di un quadro di insieme e capiremo se un fornitore arriva al
60%».
E in quel caso che farete?
«In quel caso
interverremo e diremo no. Non vogliamo dipendere troppo da alcuni Stati,
non vogliamo rischiare su alcuni nodi strategici e così proteggiamo le
imprese italiane».
Questione Intel. La multinazionale di tecnologia e microchip
ha annunciato che investirà 30 miliardi in Europa. Noi puntiamo al
packaging che ne vale 4,5. Stiamo sprecando un’occasione?
«Non
necessariamente. La partita sembrava chiusa, non lo è. Ci stiamo
lavorando. Dopo di che, vorrei ricordare che non abbiamo solo Intel:
l’italo-francese St sta sviluppando programmi di investimento molto
importanti nei semiconduttori. Bisogna avere una strategia ampia con
tante opzioni».
Noi critichiamo spesso il pubblico ma le imprese private,
come ha detto il governatore della Banca d’Italia Visco, hanno investito
troppo poco.
«Vero, le aziende investono poco soprattutto
sulle procedure informatiche. Devono accettare due cose: assumere
giovani bravi, pagarli di più e farli contare in azienda».
L’agenda è molto fitta, le scadenze sono ravvicinate. Questo governo ce la fa ad arrivare alla fine della legislatura?
«Il
tempo per impostare bene il rilancio ce l’abbiamo. Lei sta facendo la
domanda al più tecnico dei ministri tecnici. Io lavoro bene con i
colleghi, non ho motivo di vedere un rallentamento: tra giugno e
settembre avremo messo in cantiere tutto il Pnrr. Ci sono dei temi sul
tavolo che sono politici: il fisco, la giustizia. Spero si possano fare
delle giuste sintesi».
Una crisi di governo adesso sarebbe un atto di irresponsabilità?
«Questo è un giudizio che lascio a voi giornalisti».
LA STAMPA
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