La Grande Mela riscopre lo spirito dell’11 settembre
Simona Siri
NEW YORK. La frase che si sente ripetere più spesso – dai giornalisti presenti sulla scena, da quelli in studio, dai comuni cittadini – è questa: «Abbiamo visto molti eroi, questa mattina». È il commento alle immagini girate col cellulare da un testimone oculare che era in metropolitana, in cui si vedono perfetti sconosciuti che, in una situazione di panico, con il fumo ancora denso che esce dalla carrozza, si fermano ad aiutare i feriti. Chi usa la giacca per fermare il sangue, chi presta la spalla per appoggiarsi, chi si ferma anche solo per una parola di conforto. C’è chi scappa, certo, ma c’è anche chi corre nella direzione opposta, per portare aiuto. Scene di straordinario coraggio che subito rimandano a quelle altrettanto drammatiche dell’11 settembre, con le persone ricoperte di detriti e immerse nel fumo che vagano in una New York City ferita, ma anche straordinariamente resiliente e unita, empatica, solidale.
Quello che è davvero successo a Brooklyn martedì mattina non è chiaro, probabile che non sia neanche terrorismo, ma una cosa è sicura: il trauma è sempre lì, pronto a riaffacciarsi in una città che, da quel giorno di settembre 2001, si sente vulnerabile, oggi forse più che mai. Non importa quali siano le motivazioni dell’uomo che ha sparato, se sia un lupo solitario, un nuovo Unabomber, uno squilibrato in cerca di vendetta. La paura è la stessa, così come è lo stesso il nastro giallo che delimita la scena del crimine, le sirene delle ambulanze, gli elicotteri che girano sopra Manhattan, i cani anti bomba e l’aumento di polizia ovunque. Anche gli studenti delle scuole in “sheltering in place” ovvero bloccati dentro, con il divieto di uscire fino a quando la situazione non si sarà normalizzata.
L’ultima volta era successo a fine ottobre 2017: otto persone uccise e undici ferite da un pazzo che con un furgoncino a noleggio si era lanciato a tutta velocità sulla pista ciclabile che corre lungo l’Hudson River, nella parte più bassa di Manhattan. All’epoca l’attentatore era stato preso subito, ferito dalla polizia dopo che era andato a sbattere contro un pulmino della scuola, era sceso e aveva incominciato a correre urlando “Allahu akbar”, Dio è grande in arabo. Sayfullo Saipo, questo il nome, aveva 29 anni ed era parte dell’Isis. Un nemico conosciuto e riconoscibile, quindi. Forse più rassicurante del nemico generico e senza volto che sta attanagliando la città. Esclusa l’ipotesi terrorismo, rimane infatti il perché. «È la tempesta perfetta – ha detto il giornalista Dean Meminger a NY1 – quella dove il problema della violenza da armi da fuoco si scontra con il problema della sicurezza in metropolitana». Ovvero i due grandi temi che il neo sindaco Eric Adams – assente dalla scena perché positivo al Covid – è stato chiamato a risolvere. Una volta anima e fiume vitale della città che non dorme mai, il sistema della metropolitana non si è più ripreso dal calo dei passeggeri avvenuto fisiologicamente durante la pandemia. Anzi, l’aumento della criminalità e del disordine continua a scoraggiare i cittadini a usarla come mezzo di trasporto preferito. Nel 2021, i tassi di criminalità violenta in metropolitana per milione di passeggeri nei giorni feriali sono aumentati su quasi tutte le linee rispetto al 2019, prima della pandemia. Gli assalti sono aumentati del 25%. Il picco di criminalità è continuato anche dopo che il sindaco Adams ha presentato a gennaio un piano per inviare centinaia di agenti di pattuglia stradale a ispezionare regolarmente le stazioni della metropolitana e per ridistribuire impiegati nei lavori d’ufficio sui treni. A gennaio e febbraio, le aggressioni sono aumentate del 10% rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso e a inizio gennaio una donna era morta, spinta sotto il treno da un senzatetto subito arrestato.
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