Tasse e sommerso, solito buco nero

Marco Zatterin

Il cane si morde la coda e non rilascia scontrino fiscale, vecchia storia che non finisce di indignare. Sono scolpite nella pietra le parole con cui nel 2013 Ignazio Visco tornò ad attirare l’attenzione sui danni che il sommerso e il nascosto infliggono agli italiani. Disse allora il governatore della Banca d’Italia che la principale differenza fra la nostra economia e le altre più avanzate «è l’incidenza dell’illegalità e dell’evasione fiscale, che si traduce in una pressione fiscale troppo elevata». Sillogismo doloroso e immutato.  

Non paghiamo le tasse, dunque ne paghiamo di più. Chi evade gode, per buona parte. Tutti gli altri vivono tartassati, infelici e scontenti.

Nei programmi di Mario Draghi c’è il disperato impegno di invertire la tendenza, anche tenendo insieme forze politiche che hanno dimostrato di inseguire gli alibi più fantasiosi pur di non stringere le maglie del Fisco. Sono capisaldi della letteratura tragi-economica le battaglie di Forza Italia contro la circolazione di un contante sparito in buona parte d’Europa, come quelle di una Lega refrattaria ai pagamenti elettronici («Non sono la soluzione per frenare l’evasione») e guidata da un Salvini celebre per avere detto «se un datore di lavoro deve evadere le tasse per sopravvivere è un eroe» (sempre 2013). Le misure antievasione sono passate all’unanimità, votate pure da chi trova satanico che il valore degli immobili possa crescere, o calare, nel tempo. La speranza che muore per ultima anima gli spiriti di buona volontà, i quali sognano che l’intervento possa finalmente funzionare. Sognano, ma non si fanno illusioni.

Il destino crudele e imparziale delle pubblicazioni statistiche mette alla prova le ambizioni. I dati del Mef, relativi alle dichiarazioni dei redditi 2021 (anno d’imposta 2020), ricordano che sul fronte del gettito gli interrogativi sono merce svalutata. Per farla breve, si scopre che circa un contribuente su tre fra i residenti della Penisola non paga un centesimo di Irpef: in numeri fa 12,8 milioni su 41,2 rapporti con l’Erario, numero spiegabile in parte con la pandemia e il lockdown, ma non basta. È da anni che va così. Come da anni succede che i cosiddetti “ricchi”, cioè quelli che dichiarano più di 70 mila euro (lordi), siano appena il 4 per cento dei clienti del ministero delle Finanze. Ovvero un milione e seicentomila persone fisiche che portano a casa più di tremila euro netti al mese. Ci crediamo?

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