Tasse e sommerso, solito buco nero

Ogni anno l’evasione fiscale complessiva certificata supera i 100 miliardi, un terzo dei quali è attribuibile all’Irpef non versata. Oltre sei punti di pil, cioè di ricchezza nazionale, non finiscono dove dovrebbero, cioè nelle casse dello Stato. Davanti a questo, la strategia Draghi è un buon inizio. Ora il governo deve andare avanti a passo fermo, poi spetta all’amministrazione applicare le regole e controllarle, incrociare i pagamenti e far sparire quanto più possibile le transazioni non elettroniche (Pecunia olet, assicurava uno studio della Bankitalia di ottobre). Eppure, senza un maggiore senso civico, senza convincere i contribuenti che se tutti pagassero di più, tutti pagherebbero di meno, cambierà poco o nulla.

Il presidente Mattarella ha ammonito in passato che l’evasione fiscale, «indecente», è «l’esaltazione della chiusura in sé stessi, dell’individualismo esasperato». È un manifesto per i tempi difficili, ricchi di alibi potenziali come i nostri. Il governo ha tempi stretti per rendere il Fisco più giusto e collettivo. Perché più si avvicineranno le elezioni e più sarà arduo far pagare le tasse a chi non lo fa. Ogni mese che scorre aumenta il rischio che, fra un anno o poco più, ci ritroveremo al punto in cui siamo, o peggio. Non è il caso di essere prudenti nel combattere l’evasione. Favorire una giustizia fiscale diffusa, in una stagione come l’attuale, appare il biglietto migliore per non perdere lo spettacolo di una crescita solida che, in Italia, è da decenni merce necessaria quanto introvabile.

LA STAMPA

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