Letta-Meloni, caro nemico ti scrivo
Va bene, della Le Pen non si parla, come del resto la Le Pen non parla di sé nel senso dei legami con Putin e dei soldi ricevuti da banche ungheresi e russe per il suo partito, ma, in nome della sovranità dei popoli, si difende Orbán, colui che ha festeggiato la sua vittoria “contro Soros e Zelensky”, il più contrario dell’accoglienza dei profughi e al transito delle armi. Non è una novità, sin da quando fu accolto con le lacrime agli occhi dalla folla di Atreju che intonava le note di “Avanti ragazzi di Buda”, l’anno dopo che da quelle parti Steve Bannon, dallo stesso palco, si rivolse ai “patrioti europei”.
La novità, a stento coperta dalla furbizia retorica, è proprio nel cortocircuito politico, amplificato dal momento, per cui da un lato non si parla del putinismo embedded in Francia, dall’altro si rimuove quello palese in Ungheria in nome di una generica sovranità dei popoli. Cortocircuito che, al tempo stesso, rivela una mancata svolta teorica e una difficoltà politica. La svolta mancata (leggetela la lettera al Foglio) è sull’utilizzo della categoria di “democrazia formale”, in opposizione alla “democrazia sostanziale”, argomento tipico di chi non la riconosce fino in fondo, perché, da che mondo è mondo, la democrazia, senza aggettivi, si basa sul rispetto dello Stato di diritto (quello violato in Ungheria per intenderci).
La difficoltà politica è in Europa, più che in Italia, dove la Meloni guida il gruppo dei conservatori. E ha il problema di tenerlo unito di fronte alle manovre di Salvini impegnato in un grande rassemblement neo-sovranista. È riuscita a tenere agganciati i polacchi, ma vacilla il capo di Vox Santiago Abascal, non proprio un moderato, che non disdegna l’idea di gruppone unico. Per questo gioca con l’ambiguità, e col doppio passaporto (Washington e Budapest) mantenendo tutti gli assi portanti del nazionalismo anche sotto il vestito atlantista, con grande furbizia. Ma di nuovo c’è poco.
L’HUFFPOST
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