L’aggiornamento militare sulla guerra in Ucraina e i tre fattori del conflitto: sorpresa, forza, armi

La forza

La nuova fase dell’offensiva russa è stata annunciata il 29 marzo. Le truppe di Putin si stanno dirigendo sono verso sud/sud-est, puntando alla «liberazione» del Donbass e alla conquista di Mariupol, un porto strategico sul Mar d’Azov che permetterebbe oltretutto di aprire una via fra la Crimea, annessa militarmente nel 2014, e la «madre patria». In questo nuovo quadrante Mosca controlla già un territorio vasto e potrebbe cercare di chiudere la resistenza in una sacca, condannandola alla sconfitta: un conto è però immaginare la manovra sulla mappa, notano gli analisti, un altro è portarla a termine su un campo di battaglia così vasto.

La Russia, per correggere gli errori iniziali, cerca di imporre un livello di comando-controllo migliore, anche grazie alla nomina del nuovo generale Alexander Dvornikov. Questa revisione ha comportato un’azione ridotta sul campo e potrebbe durare ancora una o due settimane: intanto continua a bersagliare i civili nelle città. A sudest Mariupol non è ancora caduta, ma la resistenza è allo stremo e potrebbe arrendersi nei prossimi giorni: i russi colpiscono con incursione aeree e artiglieria, hanno preso l’impianto metallurgico Ilyich e ora puntano alle acciaierie Azovstal, nei cui tunnel sotterranei è asserragliato il battaglione ultranazionalista Azov che difende la città.

L’esercito di Putin continua poi ad assediare le regioni contese del Donbass, dove sono riscontrati i combattimenti più attivi: ha colpito a Sverodonetsk, Rubizhne e Popasna ma, spiega l’Institute for the Study of War, non ha fatto sostanziali progressi. In quest’area sarebbero impiegati circa 55 battaglioni tattici. A est, i russi si stanno riorganizzando nella regione di Kharkiv, sotto tiro dall’inizio del conflitto e ancora centrata dai missili, e hanno condotto soltanto attacchi limitati a Izyum. A sud, dove controllano un’ampia parte di territorio, le forze di Mosca hanno ricevuto rifornimenti dalla Crimea e portano avanti l’offensiva nell’area di Kherson.

Oltre a difendersi, gli ucraini avrebbero intanto condotto un’incursione di elicotteri al confine russo, nella regione di Belgorod, dove due settimane fa era stato bombardato un deposito di carburante: avrebbero colpito il villaggio di Spodaryushino — almeno così dichiara il governatore locale, ma non ci sono conferme — causandone l’evacuazione ma non provocando vittime né feriti.

Le armi

La grande spallata potrebbe arrivare presto e a Kiev attendono le prossime forniture. Washington assicura che i mezzi promessi saranno in zona al massimo entro una settimana, un tempo ridotto rispetto alle precedenti spedizioni (circa un mese). Nella lunga lista ci sono alcune voci da sottolineare. I 18 cannoni da 155 con i quali rispondere al tiro incessante dell’Armata. Artiglierie integrate da semoventi forniti da alcuni Paesi dell’Est (come la Slovacchia). Indispensabili i 10 radar che scoprono le batterie e quelli che «individuano» i cecchini. Poi gli undici elicotteri Mi-17 — trasporto e attacco — che era destinati originariamente all’Afghanistan, naturalmente prima della vittoria talebana (alcuni sono già in loco).

Sono poca cosa i 200 blindati M-113, ormai vetusti, mentre le 100 Humvee concedono maggiore mobilità su un territorio pianeggiante. Nella lista compaiono altri 500 Javelin e migliaia di altri sistemi anti-carro, 300 droni kamikaze Switchblade, munizioni e 30 mila giubbotti anti-proiettile con elmetti, quindi esplosivo al plastico, usato per demolizioni. Un video ha mostrato un ponte fatto saltare al passaggio di un convoglio russo. Nel pacchetto compaiono dei droni navali: secondo The War Zone potrebbero essere dei piccoli battelli concepiti per la neutralizzazione di mine, gli Inspector 90, ma forse si tratta di altro. E torniamo così all’inizio, alle sorprese e al fronte del mare. I numeri sono considerevoli, tuttavia la battaglia tritura vite, consuma scorte e i difensori saranno pressati da più direzioni. Da qui l’esigenza di ottenere altro, come insistono alcuni membri Nato e gli osservatori pro-Kiev.

CORRIERE.IT

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