Il folletto sogna l’ultima metamorfosi: arbitro globale della libertà d’espressione

Riccardo Luna

Per provare a dipanare la matassa creata dall’offerta d’acquisto di Elon Musk sul 100 per cento di Twitter; per provare a rispondere alle tante domande innescate, tipo «perché lo fa? con quali soldi pagherà? cosa diventerà Twitter?»; possiamo provare a partire da un tweet di qualche giorno fa. Un tweet di Elon Musk ai suoi oltre 80 milioni di followers: si vede l’immagine di un avvocato in un’aula di tribunale e la scritta «in tutta onestà, vostro onore, il mio cliente era in modalità goblin». E per farci intendere che in questo momento lui è davvero in modalità goblin (un folletto dispettoso, incurante di quello che gli altri pensano di quello che dice o fa, è stata l’interpretazione più diffusa), per renderlo chiaro a tutti, Elon Musk ha cancellato il tweet. Chissà come si stava divertendo.

Eppure questa storia non è divertente. È appassionante, semmai. E preoccupante. Ci costringe a ripensare a quello che è accaduto in questi quasi venti anni di social network e negli ultimi due di pandemia. Perché se non facciamo questo sforzo di guardare le cose in prospettiva la mossa di Musk rischia di sembrare solo il dispetto di un folletto molto ricco.

Intanto vediamo perché sarebbe preoccupante. Perché Twitter, a differenza di Facebook e Instagram, che pure hanno molti più utenti; e di Tik Tok, che è sicuramente la piattaforma più usata dai giovanissimi; Twitter non è più soltanto un social network (non sono le interazioni a contare davvero) ma è diventato una sorta di servizio pubblico: lo strumento principale per comunicare di leader politici, giornalisti, attivisti. Lo si vede benissimo nella guerra in corso. Twitter è come se fosse l’agenzia di stampa del pianeta Terra. Il problema semmai è che questa agenzia planetaria non ha mai trovato un vero modello di business e quindi fatica incredibilmente a fare profitti. Ma, è stato detto, «Elon Musk non ha comprato Twitter perché fa soldi, ma perché ha i soldi».

La cosa preoccupante è che questo oggetto delicato e fondamentale per la diffusione delle notizie potrebbe finire nelle mani dell’uomo più ricco del mondo. Se l’offerta di acquisto verrà accettata sarà Musk l’arbitro mondiale della libertà di espressione: potrà decidere se riammettere Donald Trump, espulso a vita dopo l’assalto di un manipolo di suoi sostenitori al Congresso americano il 6 gennaio 2021; potrà decidere cosa fare degli account di Vladimir Putin e degli altri esponenti del governo russo, che da qualche giorno l’attuale dirigenza di Twitter ha deciso di rendere «meno visibili», perché è mancato il coraggio di bloccarli nonostante i crimini di guerra; potrà, più in generale, ribaltare la politica di moderazione attiva dei contenuti postati dagli utenti che si è affermata a fatica in questi ultimi anni su tutti i social. Non è un’ipotesi fantasiosa, è il motivo dichiarato per questa operazione: fare di Twitter il baluardo della libertà di espressione. Che in questi ultimi mesi è stata compromessa, va riconosciuto.

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