Lo scenario: sbarco ora impossibile. Da Odessa può partire il contrattacco di Kiev
di Gianluca Di Feo
Il cinquantesimo giorno di guerra segna un altro punto di svolta: Putin ha perso il dominio del Mar Nero. Il rogo dell’incrociatore Moskva non è soltanto l’ennesimo segnale delle difficoltà del Cremlino, con l’ordine di abbandonare la nave che ha incarnato nell’ultimo ventennio la rinascita della potenza russa sugli oceani: il simbolo della riscossa militare dopo la crisi dell’Urss, ostentato nelle parate e nelle esercitazioni. L’ammiraglia in fiamme, affondata mentre veniva rimorchiata verso la Crimea rappresenta soprattutto una sconfitta che può avere un impatto strategico sulla prossima fase del conflitto. Senza la protezione dei suoi missili e dei suoi radar, la flotta da sbarco che sin dall’inizio dell’invasione ha minacciato Odessa diventa imbelle e si dissolve per i generali di Mosca ogni possibilità di aprire un altro fronte.
La dinamica dei fatti non è ancora chiara e, come sempre, le propagande si scontrano. I russi hanno subito ammesso il problema, definendolo «un incidente»: non poteva nasconderlo perché l’Sos lanciato dall’incrociatore è stato ascoltato in tutto il Mar Nero e diverse imbarcazioni sono accorse per recuperare i marinai. Kiev invece parla di un attacco condotto dai nuovi missili a lungo raggio Neptune, ipotesi che pare verosimile: nelle ultime due settimane le acque a largo di Odessa si sono fatte caldissime, con più tentativi ucraini di ostacolare la supremazia della marina russa anche attraverso incursioni dei droni turchi Bayraktar. Inoltre sia Boris Johnson che Joe Biden hanno sottolineato l’urgenza di consegnare armi antinave agli ucraini. Insomma, c’erano tutte le premesse perché si arrivasse al colpaccio. Se anche la Moskva non fosse stata vittima dell’escalation marittima, è certo che grazie agli aiuti internazionali nel giro di pochi giorni le difese costiere ucraine saranno in grado di misurarsi con qualsiasi sfida. Ogni tentativo di sbarco si trasformerebbe in un massacro e già da oggi il quartiere generale di Kiev potrà trasferire le truppe bloccate a Odessa nel timore di un assalto dal mare. Tra loro ci sono alcuni dei migliori reparti in assoluto, come la 34ma brigata meccanizzata: un’unità di veterani che ha contribuito alla resistenza di Mykolaiv fermando l’avanzata sul fronte sud. Assieme a loro possono muovere carri armati, artiglieria e semoventi dei modelli più moderni: una riserva potenzialmente decisiva da gettare rapidamente nella mischia. In pratica, la fine dell’incrociatore offre agli ucraini una chance di prendere l’iniziativa e imporre la prossima mossa. Il comando di Zelensky ha due opzioni sul tavolo. La prima è la più immediata: usare le forze di Odessa per rinvigorire il contrattacco verso Kherson, l’unica città occupata sulla riva occidentale del fiume Dnepr. Lì da giorni gli invasori sono in una situazione problematica e combattono per evitare di venire accerchiati: l’assalto procede lungo tre direzioni ed è arrivato meno di venti chilometri da Kherson, ma non ha la potenza necessaria a sfondare le linee russe. Ora gli ucraini hanno invece l’occasione per completare la spinta. Oppure, in maniera più ardita, il raggruppamento di Odessa può spostarsi fino al Donbass e scompaginare i piani per l’imminente offensiva di Mosca, quella a cui Putin affida la speranza di presentarsi il 9 maggio sulla Piazza Rossa con un annuncio di vittoria.
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