Intervista a Draghi: «Il governo ha fatto tanto, ora avanti senza dividerci. Giusto mandare armi all’Ucraina, la pace vale sacrifici»
Il premier Mario Draghi a Palazzo Chigi durante l’intervista con il direttore del Corriere della Sera Luciano Fontana
Quanto è condizionato il governo dagli
esponenti della maggioranza che tendono a giustificare Putin con
l’allargamento della Nato e le colpe dell’Occidente nelle guerre
passate?
«Non c’è stato alcun condizionamento. Tutte le decisioni cruciali
sono state prese con vastissimo consenso parlamentare. Fin dal primo
dibattito sulla guerra, alcuni parlamentari hanno cercato di
rimproverare ad altri le antiche amicizie e mi è stato chiesto di dire
cosa ne pensassi. Io ho replicato: questo non è il momento di
rimproverarsi le simpatie e gli affari di un tempo. È il momento di
stare tutti insieme. E continuo a ripeterlo. Tra l’altro, questo è un
dibattito che appassiona soprattutto alcuni politici. Non mi sembra che
tra la maggior parte dei cittadini ci sia ora voglia di fare processi al
passato».
Alcuni nel Movimento 5 Stelle e molti italiani fanno fatica ad accettare il bisogno di armare l’Ucraina
.
«La decisione di inviare le armi è stata presa quasi all’unanimità
in Parlamento. I termini della questione sono chiari: da una parte c’è
un popolo che è stato aggredito, dall’altra parte c’è un esercito
aggressore. Qual è il modo migliore per aiutare il popolo aggredito? Le
sanzioni sono essenziali per indebolire l’aggressore, ma non riescono a
fermare le truppe nel breve periodo. Per farlo, bisogna aiutare
direttamente gli ucraini, ed è quello che stiamo facendo. Non farlo
equivarrebbe a dire loro: arrendetevi, accettate schiavitù e
sottomissione — un messaggio contrario ai nostri valori europei di
solidarietà. Invece vogliamo permettere agli ucraini di difendersi. Il
tema delle armi è serio e non lo sottovaluto: coinvolge scelte etiche
personali. La decisione non può dunque essere presa con leggerezza, ma i
termini sono quelli che ho appena descritto».
Il presidente americano Biden sta usando
toni durissimi verso Putin, in Europa si avverte che molti leader non
li condividono. È anche lei preoccupato?
«Come vogliamo chiamare l’orrore di Bucha se non crimini di guerra?
Ma capisco che termini come “genocidio” o “crimini di guerra” hanno
un significato giuridico preciso. Ci sarà modo e tempo per verificare
quali parole meglio si confacciano agli atti disumani dell’esercito
russo. Ciò detto, dobbiamo riconoscere che nei mesi scorsi, prima e
durante l’invasione, l’intelligence americana aveva le informazioni che
si sono rivelate più accurate».
Lei ha parlato con Putin pochi giorni fa. Impossibile convincerlo a fermarsi?
«Nella telefonata gli ho detto che lo chiamavo per parlare di pace.
Gli ho chiesto: “Quando vi vedete con Zelensky? Solo voi due potete
sciogliere i nodi”. Mi ha risposto: “I tempi non sono maturi”. Ho
insistito: “Decidete un cessate il fuoco”. Ancora “No: i tempi non sono
maturi”. Dopo di che mi ha spiegato tutto sul pagamento del gas in
rubli, che allora non era ancora stato introdotto. Ci siamo salutati con
l’impegno di risentirci entro pochi giorni. Poi è arrivato l’orrore di
Bucha. Comincio a pensare che abbiano ragione coloro che dicono: è
inutile che gli parliate, si perde solo tempo. Io ho sempre difeso
Macron e continuo a sostenere che come presidente di turno della Ue
faccia bene a tentare ogni possibile strada di dialogo. Ma ho
l’impressione che l’orrore della guerra con le sue carneficine, con
quello che hanno fatto ai bambini e alle donne, sia completamente
indipendente dalle parole e dalle telefonate che si fanno».
Le ultime notizie sulla guerra in Ucraina
Sulle sanzioni al gas vinceranno, come in passato, i singoli interessi nazionali?
«Finora c’è stata grande unità in Europa e in Occidente, e questa è
un’altra delle cose inattese: certamente Putin non si aspettava l’unità
della Nato e dell’Unione Europea. Tra l’essere soddisfatti per la
determinazione e l’unità che si sono mostrate finora e l’essere
preoccupati per il futuro io penso che debba prevalere il primo aspetto.
Guardando avanti, la proposta italiana di un tetto al prezzo del gas
russo sta guadagnando consensi e sarà discussa al prossimo Consiglio
europeo sulla base di un documento generale preparato dalla Commissione.
L’Europa compra più di metà del gas esportato dalla Russia. Il potere
di mercato che l’Unione Europea ha nei confronti di Mosca è un’arma da
usare. Un tetto al prezzo del gas riduce il finanziamento che diamo ogni
giorno alla Russia».
Non c’è il rischio che le sanzioni facciano più danno a chi le ha imposte?
«La Commissione europea e tutti gli alleati sono convinti dell’efficacia delle sanzioni
. I russi stessi lo ammettono quando dicono che non riescono più a
pagare le obbligazioni in scadenza perché una parte significativa delle
loro riserve valutarie sono congelate. Questo vuol dire che stanno
andando verso la bancarotta. Ora ci stiamo chiedendo se dobbiamo fare di
più: l’Europa continua a finanziare la Russia acquistando petrolio e
gas, tra l’altro ad un prezzo che non ha alcuna relazione con valori
storici e costi di produzione. Imporre un tetto al prezzo del gas russo,
come proposto dall’Italia, è un modo per rafforzare le sanzioni e al
tempo stesso minimizzare i costi per noi che le imponiamo. Non vogliamo
più dipendere dal gas russo, perché la dipendenza economica non deve
diventare sudditanza politica. Per farlo, bisogna diversificare le fonti
di energia e trovare nuovi fornitori. Sono appena stato in Algeria dove
l’Eni ha stretto un accordo per la fornitura di 9 miliardi di metri
cubi di gas naturale in più — circa un terzo di quanti ne importiamo
dalla Russia. Seguiranno altri Paesi. La diversificazione è possibile e
attuabile in tempi relativamente brevi, più brevi di quanto
immaginassimo solo un mese fa».
Non dobbiamo preoccuparci per l’inverno e per il rischio di frenata della produzione industriale?
«Siamo ben posizionati. Abbiamo gas negli stoccaggi e avremo nuovo
gas da altri fornitori. Se anche dovessero essere prese misure di
contenimento, queste sarebbero miti. Stiamo parlando di una riduzione di
1-2 gradi delle temperature del riscaldamento e di variazioni analoghe
per i condizionatori».
Non sarebbe più facile far partire gli impianti bloccati dalla burocrazia e dai veti?
«Questo è fondamentale. Il governo ha già approvato norme per
sbloccare gli investimenti nelle energie rinnovabili. Ne faremo altre a
breve. L’obiettivo è assicurare la massima celerità negli investimenti
nelle rinnovabili. Finora l’ostacolo è stato essenzialmente di tipo
burocratico e autorizzativo. Non possiamo più permetterci questi veti».
La sua frase sul dilemma tra pace e condizionatori le ha provocato molte risposte polemiche…
«Volevo mandare due messaggi che ritengo importanti. Il primo,
simbolico: la pace vale dei sacrifici. Il secondo, più fattuale: il
sacrificio, in questo caso, è contenuto, pari a qualche grado di
temperatura in più o in meno. La pace è il valore più importante,
indipendentemente dal sacrificio, ma in questo caso il sacrificio è
anche piccolo».
Riuscirete a intervenire ancora per abbassare il costo delle bollette?
«Abbiamo
già speso 20 miliardi ed è nostra intenzione fare di più per proteggere
imprese e cittadini, soprattutto i più vulnerabili
. Il nostro obiettivo economico è preservare la crescita e
l’occupazione. Non siamo in recessione, ma c’è un rallentamento nei
primi due trimestri di quest’anno. Molto dipenderà dall’andamento della
guerra, ma proprio per questo la determinazione del governo è massima.
La ricerca di approvvigionamenti di gas e di altre fonti di energia oggi
è come la campagna vaccinale l’anno scorso: saremo altrettanto
determinati».
Il Covid-19 è la seconda grande emergenza ancora in corso. Siamo davvero sulla via d’uscita?
«Lo dicono i numeri. Le morti e le ospedalizzazioni si sono ridotte moltissimo, perché si è ridotta l’intensità dei sintomi. Allo stesso tempo, abbiamo riaperto le scuole, l’economia è ripartita, siamo tornati alla nostra socialità. Con questo virus è molto difficile fare previsioni, ma possiamo affermare con certezza che la campagna di vaccinazione è stata un grande successo: secondo un recente studio dell’Istituto superiore di sanità la campagna vaccinale, dal suo inizio a gennaio 2022, ha evitato circa 150 mila decessi — un numero enorme. Grazie all’impegno del personale medico, della Protezione civile, dell’Esercito, di tutti i cittadini siamo passati da essere uno dei Paesi più colpiti a un esempio virtuoso di ripresa. Inoltre, se ci dovesse essere un nuovo peggioramento, siamo molto più preparati che in passato — una preparazione che è culturale e sociale, oltre che degli ospedali e delle istituzioni. Le strutture che abbiamo creato durante l’emergenza rimangono in piedi e continueremo a investire nella sanità proprio per essere pronti a qualsiasi evenienza».
La guerra ha un po’ oscurato la discussione sulla realizzazione del Piano di ripresa finanziato dall’Europa. A che punto siamo?
«Nel 2021 abbiamo realizzato tutti gli obiettivi previsti dal Pnrr . Pochi giorni fa sono arrivati i primi 21 miliardi, che si aggiungono ai quasi 25 che abbiamo ricevuto l’anno scorso. C’è stata una visita della Commissione europea sugli obiettivi di questo semestre e le sue conclusioni sono state positive. Ci sono alcune riforme che dobbiamo ancora realizzare: concorrenza, codice degli appalti, fisco e giustizia. Sul codice degli appalti, che è in commissione, mi pare che la strada sia spianata. Sarà poi il Consiglio di Stato a scrivere i decreti delegati in tempi molto rapidi — e anche questa è una buona notizia. Le altre riforme sono in Parlamento e sono ancora fiducioso che possano essere approvate tutte abbastanza rapidamente. Sulla giustizia c’è la promessa di non mettere la fiducia e vale ancora. Sulla concorrenza restano pochi nodi. Sul fisco, l’atmosfera con il centrodestra, nell’incontro che abbiamo avuto, mi è sembrata positiva. Il centrodestra voleva confermare il sostegno al governo e da parte del governo si voleva ribadire che c’è qualche margine di trattativa, anche se gli elementi caratterizzanti della riforma restano. Ovviamente qualsiasi modifica dovrà andare bene anche al centrosinistra».
Nelle prossime settimane il Parlamento voterà la legge delega sul fisco e quella sulla giustizia. Reggerà la sua maggioranza?
«Sì, come ha dimostrato al Senato la scorsa settimana il voto sulla riforma della giustizia. Sono riforme necessarie e di buon senso. Le norme sulla concorrenza sono parte degli impegni presi con il Pnrr. Hanno lo scopo di rendere più semplice la vita dei cittadini e di abbassare i prezzi, per esempio di alcuni medicinali. La delega fiscale è uno strumento di lotta all’evasione e alle diseguaglianze e non aumenta le tasse — anzi, il contrario. La parte già attuata in legge di bilancio, con la revisione delle aliquote dell’Irpef, ha ridotto le tasse di circa 8 miliardi. Le norme sul catasto aggiornano valori degli immobili che riflettono i prezzi di molti decenni fa e faranno emergere tutti gli immobili abusivi. Come ho detto più volte, questi aggiornamenti non cambieranno le tasse sulla casa oggi pagate dai cittadini che le pagano».
Le molte dissociazioni di Salvini, Conte, Renzi. I distinguo degli altri partiti. Questa strana maggioranza sembra una camicia di forza per i partiti.
«Sarà pure una camicia di forza, ma quello che abbiamo realizzato insieme è moltissimo. Penso sia meglio concentrare l’analisi politica su ciò che è stato fatto e ciò che occorrerà fare. Il mio messaggio ai partiti è questo: non sentitevi in una gabbia, progettate il futuro con ottimismo e fiducia non con antagonismo e avversità. Guardate ai successi che avete ottenuto in una situazione molto difficile. Ci sono tutte le ragioni per essere fiduciosi. Lo stesso incoraggiamento rivolgo anche a tutti gli italiani».
Non teme che le continue fibrillazioni e le contrapposizioni possano portare al voto anticipato?
«Il governo è a disposizione delle forze politiche per consolidare l’unità nazionale, per fare ciò che è bene per le famiglie e per le imprese. Non serve preoccuparsi. L’occhio del governo è fisso su quello che c’è da fare, su tutto quello che può permettere a questa coalizione di raggiungere i suoi obiettivi».
Sa che circola una voce insistente che lei non ne possa più, sia stanco delle liti nella maggioranza e possa dire addio?
«Non sono stanco e non ho alcuna intenzione del genere. Ho però l’intenzione di governare, affrontare le emergenze secondo il mandato che il presidente della Repubblica mi ha dato lo scorso febbraio. Questo è decisivo. Non bisogna governare per il potere fine a sé stesso. Tra l’altro, chi lo fa perde potere. Bisogna governare per fare le cose che servono all’Italia».
Mi sembra che lei abbia stabilito con un buon rapporto con la leader dell’opposizione Giorgia Meloni, soprattutto nella vicenda della guerra?
«Un rapporto rispettoso, consapevole che in alcuni passaggi fondamentali l’opposizione si è schierata con il resto del Parlamento. Allo stesso tempo, sono anche consapevole delle diversità che ci sono e della franchezza che è necessaria sempre. La franchezza fa parte del rispetto».
Dove si immagina il prossimo anno alla fine di questa esperienza?
«Non l’ho proprio immaginato, non è nel mio carattere».
Continuano però a proporle molti ruoli…
«Come ho già detto quel giorno in conferenza stampa? È escluso. E poi ho aggiunto: “Chiaro?”».
Quando era alla guida della Bce era più facile trovare il pulsante per risolvere un problema?
«No, il pulsante nemmeno lì si trovava facilmente. Anche in quel caso la situazione era molto complessa, e le decisioni erano comunque di un collettivo. Qui i fronti sono però di una varietà straordinaria e il numero delle sfide è maggiore. È tutto un altro lavoro, dove però l’esperienza che ho acquisito in passato aiuta tanto».
Alla Banca centrale mancava completamente il rapporto con la gente, un rimprovero che si fa spesso ai supertecnici.
«Quando ho la possibilità di girare per l’Italia, e intendo continuare a farlo nei prossimi mesi, incontro tante persone che mi incoraggiano. Il rapporto con i cittadini è l’aspetto migliore di questo lavoro — è molto bello, confortante, affettuoso».
All’inizio si diceva…
«Sì, che ero distante. Non so, ora ho la sensazione di esserlo meno e io stesso ne ricavo gran conforto».
Dall’emergenza del Covid-19 alla guerra. Il momento più difficile di questi quindici mesi?
«L’inizio. La situazione alla fine di febbraio dello scorso anno era davvero preoccupante. Mi sosteneva la consapevolezza che se non fosse stato così non ci sarebbe stato di un governo di unità nazionale, guidato da un primo ministro esterno alla politica. Ma questo posto è per una persona scelta dagli italiani. Bisognerebbe che i presidenti del Consiglio fossero tutti eletti. Queste sono situazioni d’emergenza, è bene essere consapevoli che sono situazioni particolari».
Le piacerebbe essere eletto?
«No. È estraneo alla mia formazione e alla mia esperienza. Ho molto rispetto per chi si impegna in politica e spero che molti giovani scelgano di farlo alle prossime elezioni, alle quali intendo tuttavia partecipare come ho sempre fatto: da semplice elettore».
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