L’aggiornamento militare in Ucraina: cosa aspettarci dalle prossime settimane di guerra?
Ora lo attendono tre missioni:
1) la rigenerazione dei reparti, compito non sempre facile perché i rimpiazzi potrebbero non essere all’altezza;
2) la logistica, il tallone d’Achille dell’Armata, anche se ora le linee sono più corte;
3) il concentramento di forze
nelle aree in cui le artiglierie e i tank dovranno scatenare uno
sbarramento di fuoco, tecnica nei quali i russi sono stati sempre degli
esperti. In questi giorni il flusso di materiale di questo tipo è stato
evidente.
Hertling, però, avverte: non conta quanto sia bravo un generale, ci vuole tempo per integrare riserve e reclute nel nuovo dispositivo d’assalto. Dvornikov deve inoltre risolvere i problemi nella catena di comando, già emersi all’inizio: serve un’interazione perfetta fra vertice e ufficiali delle singole unità. Il coordinamento detta le regole, senza dimenticare che dall’inizio del conflitto Mosca ha perso alti gradi e quadri di esperienza: sarebbero il 20% delle vittime secondo una stima della Bbc. Un altro esperto, l’australiano Mick Ryan, è ancora più negativo sulle capacità dello Stato Maggiore nell’adattarsi a quanto emerso dal campo di battaglia, ma ritiene che sia migliorato l’intervento dell’aviazione, con maggiore supporto alle unità a terra.
Non meno arduo è il compito degli ucraini. Devono contare su un contingente flessibile, altamente mobile, per sottrarsi ai bombardamenti massicci. Sarà necessaria una forza di reazione rapida da usare per tamponare le possibili brecce nella linea di difesa. Devono quindi disporre di una logistica leggera ma efficace. Per questo sono da preferire mezzi ruotati, magari dotati di sistemi anti-tank, ai cingolati, mentre i soldati devono essere bene addestrati all’uso dei Javelin anti-carro, dei droni-kamikaze Swicthblade e delle altre armi fornite dagli occidentali, come l’anti-carro NLaw britannico per il quale le forze speciali di Londra stanno fornendo training nell’area di Kiev. Fondamentale è l’impiego di radar «dedicati» all’individuazione dei cannoni nemici: ne sono stati spediti alcuni, certamente non paiono sufficienti ai giorni duri che attendono i «difensori».
La seconda fase — dopo il martellamento da parte dei russi con lunghi calibri, missili e razzi — vedrà grandi combattimenti per il controllo di snodi stradali, di alcune località strategiche, dei guadi dei fiumi e dei ponti. Il focus sarà su Izyum, Sloviansk, Kramatorsk, Horlivka e qualsiasi area dove i contendenti proveranno a sfondare, accerchiare, condurre manovre. Le battaglie non saranno più nelle strade o nei sobborghi delle grandi città, come successo a Kiev, Kharkiv e nella stessa Mariupol: le truppe si affronteranno nelle fattorie e nei campi sterminati rappresentati dal giallo della bandiera ucraina, e questo comporterà anche l’uso di armi — e strategie — diverse.
«Ora assisteremo a una battaglia di manovra convenzionale e molto letale, con i russi che cercheranno di attaccare le posizioni fisse degli ucraini in un territorio molto aperto», ha spiegato al New York Times l’ex comandante dell’esercito americano in Europa, Ben Hodges, il generale della «profezia» dei 10 giorni. Gli spazi aperti potrebbero avvantaggiare le truppe russe, circa 40 mila soldati, che hanno armi migliori e più potenti, ma gli ucraini — nell’est c’erano 30 mila uomini al momento dell’invasione — possono colpirle dalle trincee mentre avanzano, sfruttando anche la migliore conoscenza del territorio, o con i blitz di piccole unità che sono stati estremamente efficaci al nord. Per resistere, però, hanno però bisogno di armi, in particolare artiglieria a lungo raggio e sistemi lanciarazzi multipli.
I russi, spiega l’ex generale australiano Ryan, hanno a questo punto due opzioni per raggiungere gli obiettivi strategici.
• La prima è quella «go big»,
ovvero ambiziosa, che prevede il doppio accerchiamento delle forze
ucraine nell’est, avanzando verso Dnipro da nordest e da sud,
continuando al tempo stesso a combattere nel Donbass per ottenere il pieno controllo delle regioni separatiste:
in questo caso, l’obiettivo finale è la conquista di tutto il
territorio a est del fiume Dnipro e la distruzione della territoriale
ucraina, e rappresenterebbe una vittoria politica e militare
significativa per Putin.
• La seconda opzione è un approccio «minimalista»: un
accerchiamento più moderato, ingaggiando le forze ucraine in particolare
nelle regioni di Donetsk e Lugansk, e contemporaneamente avanzare da
nordest e da sud per guadagnare il controllo del territorio a est della linea che congiunge Izyum e Mariupol. Così i russi prenderebbero le due regioni separatiste, che provano a conquistare già dal 2014 e che restano l’obiettivo principale di questa guerra.
Se gli uomini di Putin ci riusciranno, avranno anche ridotto
significativamente la capacità dell’esercito ucraino, che nella regione
schiera le forze migliori.
L’opzione più probabile, sostiene Ryan, è la seconda, che potrebbe bastare a soddisfare la «teoria della vittoria» rimodellata dello Zar dopo la sconfitta nel nord. Tuttavia, sostiene l’ex generale, bisogna sempre tenere conto delle variabili, che in battaglia non sono poche: le controffensive ucraine che possono far saltare i piani russi, come è già accaduto in questi giorni nel Donbass, dove le truppe di Kiev stanno provando a tagliare le linee di rifornimento avversarie a est di Kharkiv; la caduta di Mariupol; la logistica; il ruolo delle forze russe nel sud mentre si combatte a est; i piani di riserva di Mosca. Ognuna di queste eventualità può cambiare il destino del conflitto, in un verso o nell’altro.
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