Quella politica che nega il dolore
EUGENIA TOGNOTTI
Un dolore prolungato, nascosto e persino negato dalla politica della pandemia. L’unico risvolto sottaciuto. Di cui non si parla nell’incessante e ininterrotto fluire dei discorsi pubblici su virus, varianti, vaccini, crisi sanitaria. Sarà la scomparsa del dolore «l’ultimo tradimento pandemico», sostiene il giornalista scientifico e premio Pulitzer, Ed Yong. Che su The Atlantic ha scritto – con brevi cenni biografici di persone qualunque uccise dal Covid – della gigantesca operazione di rimozione del dolore negli Stati Uniti, dove l’infezione, la terza causa di morte – e quindi di sofferenza – ha fatto registrare 844 mila decessi, un totale ampiamente sottostimato, stando alle stime del Centro per la prevenzione e il controllo delle malattie (Cdc) e ad altre fonti ufficiali .
Ogni morto di Covid – inaspettatamente e, spesso prematuramente – ha lasciato dietro di sé un mondo. Milioni di persone in lutto hanno visto le vite perdute dei loro cari dissolversi nei tassi di mortalità, scomparire dietro le statistiche, confluire nel gigantesco bilancio della tragedia collettiva. Ora, gli Stati Uniti «sembrano intenzionati a cancellare le proprie perdite nel desiderio di superare la crisi – osserva Yang –, ma il dolore di milioni di persone non sta scomparendo». A raccogliere materiali, in ogni Stato, stanno pensando attivisti, organizzazioni no-profit e antropologi sociali. Come la professoressa Sarah Wagner, della George Washington University, che ha individuato somiglianze tra le esperienze delle persone che hanno perso persone care per il Covid-19 e quelle colpite da lutti durante le guerre. Concentrata, dal 2020 sulla morte e sul ricordo di Covid 19, sta lavorando, con un team di docenti e studenti, su un grande progetto finanziato dalla National Science Foundation. Il dolore non scompare. E non solo negli Stati Uniti. Il fatto è che questa pandemia del XXII secolo – così diversa, e per tanti aspetti, da quelle del passato – a cominciare dall’isolamento di massa della fase più drammatica – ha lasciato dietro di se troppe ferite che renderanno difficile, per tanti, tornare alla normalità. È difficile da sopportare il non aver potuto dire addio – se non con FaceTime, un ben povero surrogato di voce e presenza – a persone care, ricoverate in ospedali blindati, intubate e circondate da fantasmi in tuta e mascherina. Ed è stato impossibile elaborare il dolore senza la routine e il sostegno collettivo, assicurato in passato dalla rete di amici o familiari, sfilacciata dalle circostanze e dalle divisioni provocate dalla politicizzazione sulla pandemia, dalla disinformazione, dalla stanchezza.
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