Quella politica che nega il dolore
Lo sconforto per non aver potuto piangere e celebrare i propri morti, col venir meno dei rituali sociali – veglie, funerali, cerimonie degli addii – è invece simile, se si fa eccezione per l’isolamento di massa, a quello che si ritrova nella pandemia di Spagnola nel 1918. In Italia, il divieto di celebrare funerali nelle chiese e l’obbligo dei funerali collettivi, con le salme portate al cimitero sui camion, «senza preti, né croci, né campane», provocò un orrore che nel paese in guerra e ingessato dalla censura, trovava parole solo nelle lettere private di congiunti di emigrati all’estero che vivevano in Italia. Niente appariva più spaventoso del venir meno dell’individualità della morte e dell’attenzione rituale che universalmente e da sempre circondava i defunti.
Difficile pensare che Covid-19 sarà ricordata in futuro come una «pandemia dimenticata» come la Spagnola. In Italia – guerra, pandemia d’influenza e altre malattie, vecchie e nuove – provocarono insieme, nel quadriennio 1915-18, uno spaventoso eccesso di morti rispetto ai tempi normali stimato intorno a 1.140.000 secondo le stime dei demografi. Ma nel 1920 nessuno ne parlava e ne scriveva più. Tanto che alcuni storici affermano che la grande lezione che possiamo imparare dalla pandemia del 1918 è la rapidità con cui i sopravvissuti s’ingegnarono a dimenticarla. Forse stiamo già ripetendo l’errore e c’è di che preoccuparsi dei pericoli individuali e collettivi che questa amnesia annuncia. Fa male alla nostra salute mentale e accresce la nostra vulnerabilità a future pandemie che vediamo profilarsi all’orizzonte.
LA STAMPA
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