Liliana Segre: «Sarà un 25 aprile diverso. Oggi Bella Ciao fa pensare all’Ucraina»

di Alessia Rastelli

La senatrice sopravvissuta all’Olocausto: mi auguro che si arrivi presto alla pace. In questo conflitto l’equidistanza non è possibile: Kiev è stata aggredita e la sua resistenza va sostenuta

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La senatrice a vita Liliana Segre

«Sarà un 25 aprile diverso quest’anno in cui la guerra è tornata nel cuore dell’Europa». Risponde da Pesaro la senatrice a vita Liliana Segre , dove sta trascorrendo alcuni giorni di convalescenza dopo avere avuto il Covid. Premette che non vuole entrare nelle recenti polemiche intrecciatesi con la Festa della Liberazione, che anzi la addolorano visto che per lei è sempre stata «una ricorrenza gioiosa». Ma accetta di tornare su quanto affermato nel suo unico intervento pubblico sulla guerra, inviato in video all’Anpi lo scorso 24 marzo: «Mi auguro al più presto la pace. L’equidistanza non è possibile, il popolo ucraino è stato aggredito dai russi e la sua resistenza va sostenuta». La storia, aggiunge, «mostra che la pace non si ottiene restando indifferenti o attraverso progressivi cedimenti agli aggressori, ma garantendo una convivenza tra i Paesi basata sul diritto e sul rispetto».

Senatrice Segre, che cosa rappresenta per lei il 25 aprile?
«Innanzitutto è una ricorrenza doppia. In quella data, nel 1945, fu liberata la mia Milano. Non ne ho memoria diretta perché ero ancora prigioniera. In quello stesso giorno, inoltre, gli eserciti angloamericano e sovietico si congiunsero a sud di Berlino. Io ero ancora nel lager di Malchow, nella Germania settentrionale, dove ero stata trasferita dai nazisti come ultima tappa della “marcia della morte” iniziata da Auschwitz. Ricordo grande nervosismo tra i nostri aguzzini, mentre noi non capivamo cosa stesse accadendo. Furono alcuni francesi prigionieri dei tedeschi, passando vicino al filo spinato in quei giorni di aprile, a dirci: “Non morite, tenete duro, la guerra sta per finire”».

Come ha vissuto nel tempo la Festa della Liberazione e come la vive in questo anno particolare?
«È sempre stata importantissima, un rito laico imprescindibile. Nel mio caso divenne una festa familiare oltre che pubblica. Mio marito Alfredo infatti era stato un internato militare per avere detto “no” alla Repubblica sociale. Entrambi sapevamo cosa volesse dire perdere la libertà e lo abbiamo insegnato ai nostri figli. Anche per questo ci tengo a dire che la Festa della Liberazione appartiene a tutti gli italiani e non dovrebbe mai scatenare divisioni».

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